CAPTAIN MANTELL

Vi abbiamo presentato in anteprima il video di “Let It Down” come antipasto, vi parliamo del disco e in contemporanea ci fa piacere offrirvi la visione personale della band, qui rappresentata da Tommaso Mantelli. Capita che un album sia capace di tirare dentro e invischiare come una ragnatela ben tessuta, tanto da imporsi tra gli ascolti in modo deciso, quasi prepotente, questo è ciò che capita con Dirty White King, un racconto in note che avvince e propone una visione musicale perfettamente bilanciata tra energia e melodie. Per questo, abbiamo deciso di farci raccontare come sono andate le cose dalla viva voce dei suoi autori.

So bene che dopo un po’ stanca dover ogni volta fare un riassunto della propria storia come band e musicisti, ma superati i dieci anni e arrivati al sesto disco… magari vi va di dare ai lettori qualche piccolo spunto su come siate arrivati fino a qui…

Tommaso Mantelli (voce e chitarre): Ciao! Allora, proverò ad essere conciso ma non prometto di riuscirci! Il tutto nasce nel 2006 come mio progetto solista. Era un periodo un po’ strano della mia vita artistica. Uscivo da una esperienza (traumatica) con una major italiana e avevo bisogno di scrivere qualcosa senza compromessi, che rispecchiasse al 100% quello che volevo esprimere. Da allora questo è sempre stato lo spirito alla base del progetto.
Nel 2007 esce il primo disco Long Way Pursuit, il primo dei capitoli dedicati alla storia del vero Capitano Thomas Mantell, il primo pilota a morire inseguendo un UFO, storia che è stata il filo conduttore dei successivi album. All’epoca, essendo da solo, mi servo dell’elettronica per compensare le parti che non potevo eseguire senza altri musicisti. La commistione tra rock e suoni modificati elettronicamente sarà poi la chiave del sound del progetto. Al primo disco segue l’arruolamento spontaneo della prima ciurma, con Omero Vanin aka Sergente Roma alla batteria e Nicola Lucchese aka Doctor Ciste all’elettronica.
Seguono i dischi Rest In Space (2009), Ground Lift (2011) e l’ep di video seriali 7Times7 (2012), vari tour italiani ed europei, concerti un po’ dappertutto, dallo squat ai grandi festival…
La formazione cambia nel 2012 con l’ingresso di Mauro Franceschini aka Ammiraglio Dix alla batteria e Sergio Pomante aka Sergente Zags al sassofono elaborato, portando evoluzione, crescita e maturità al sound della band. Questa è la formazione che registra Bliss nel 2014 e finalmente Dirty White King, il disco di cui parliamo oggi.

Questo è un disco con parecchie possibilità di lasciare il segno, a partire dal suo presentarsi racchiuso in un artwork incredibile, opera di Michele Carnielli (Seals of Blackening), vi va di raccontarci come è andata?

Michele è un vecchio amico di Mauro, e quando Mauro mi ha fatto vedere i suoi lavori proponendomi di chiedergli di curare l’art work del nuovo album io ne sono stato entusiasta.
Le complesse immagini sono la rappresentazione di quello che Michele “ha visto” ascoltando il disco e leggendo i testi.

L’immaginario inquietante e il background nero della copertina rispecchiano, del resto, il contenuto dell’album, sia per il tema trattato sia per le sonorità pesanti e spesso cupe che fanno di Dirty White King un lavoro giocato sulla contrapposizione tra atmosfere oscure e melodie, chiari e scuri, concordate?

Assolutamente. Dalla prima immagine che Michele ci ha proposto ci siamo subito sentiti in sintonia. Secondo noi ha colto esattamente il senso del disco che, come dici tu, ha un ambientazione generalmente cupa e pesante, ma lascia spazio anche a momenti più accoglienti e luminosi.

Partiamo dalla storia e da questo fantomatico regicidio. Com’è nata l’idea e quali dettagli vi va di svelarci senza togliere il gusto della scoperta?

Dirty White King, il titolo è stata la prima cosa che abbiamo deciso riguardo all’album. Non ci era mai successo di deciderlo a priori.
Il titolo ha influito molto sui contenuti dell’album.
Come fatalità, in quel periodo mi stavo informando sulla storia di alcuni regicidi, in particolare di Gaetano Bresci, anarchico ma fondamentalmente una persona qualunque che uccise il Re d’Italia Umberto I. Egli dichiarò: “Non ho inteso uccidere un uomo, ma un principio”.
Beh, mi ha ispirato molto. Anche se io uso la chitarra e non la pistola…
Lo Sporco Re Bianco è il simbolo del potere al quale indignarsi e ribellarsi, e questa è la storia che raccontiamo in versione poetica durante il disco.
Non ci sono riferimenti di tempo né di luogo. Non c’è neanche un personaggio principale, ogni canzone esprime i pensieri e le emozioni dei suoi protagonisti.
Il metaforico regnante viene ucciso e il regicida viene braccato fino alla morte.
E il cerchio si chiude per ricominciare da capo senza che nulla sia cambiato… forse.

Spesso si ha l’impressione che i brani seguano la trama e non mancano momenti in cui si avverte la sensazione di avere a che fare con una vera e propria colonna sonora, avete mai pensato di continuare sulla scia del video di “Let It Down” per sviluppare il tutto anche dal punto di vista visivo?

Certo. La storia raccontata nel disco è sempre stata nella mia mente come un “libro musicato”. Ma, dopo aver visto le prime scene girate del video, mi è stato chiaro che potrebbe benissimo essere un film e il disco la sua colonna sonora.
Probabilmente continueremo ad aggiungere capitoli visivi mancanti, sperando di riuscire a mettere in scena l’intera storia, un giorno.

Parliamo appunto del video. Chi lo ha curato e come vi siete trovati a trasformare la vostra musica in immagini? Quanto conta il cinema tra le vostre influenze personali, ne siete appassionati?

Il video è stato curato da Massimo Battistella e Samuele Grando. Il contenuto era obbligatoriamente una rappresentazione cinematografica di un capitolo della storia del regicidio. È capitato che il primo singolo scelto fosse il brano in cui l’assassino si deve sbarazzare delle prove del misfatto e sceglie il mare come custode dei suoi segreti…
Parlo per me e purtroppo  devo ammettere di avere una cultura lacunosa per quanto riguarda il cinema. Di sicuro apprezzo un bel film (per un periodo abbiamo proiettato “Playtime” di Tati ai nostri concerti) ma non ho mai studiato a fondo la materia. La musica ha sempre preteso molta della mia attenzione.

Da un punto di vista musicale, nonostante la già citata potenza di fuoco e la pesantezza di alcuni passaggi, non rinunciate alla vostra vena “melodica” e a quel mood che richiama in qualche modo il periodo d’oro della musica indipendente nei Novanta, quando tutto sembrava possibile e ogni contaminazione era lecita. Quanto conta questo aspetto per voi?

Dirty White King è di sicuro il disco più scuro e pesante della band fino ad ora. Allo stesso tempo non riesco a rinunciare ad esprimermi attraverso le melodie.
Penso che la giusta nota sul giusto accordo siano la chiave della potenza evocativa di un brano.
La mescolanza di diversi stili è la vera costante dello stile cangiante della band. Le nostre influenze sono innumerevoli e ci sembrerebbe limitativo prendere una singola direzione e decidere di fossilizzarsi su quella, precludendoci altre possibili vie.

La cura del songwriting e dei suoni, la scelta di aggiungere strumenti e contributi esterni, tutto sembra indicare un’attenzione e sforzi particolari per dar vita a Dirty White King. È stato difficile dare alla luce un album così complesso, soprattutto avevate già chiaro il quadro generale al momento di comporlo o le cose hanno preso forma in fieri?

Ho la fortuna di scrivere parecchio. In tre anni ho avuto modo di buttare giù un bel po’ di materiale. Quindi al momento di lavorare sul disco abbiamo potuto concentrarci di più sugli arrangiamenti.
Inoltre abbiamo la fortuna di avere due studi di registrazione in tre musicisti. Io e Sergio lo facciamo di lavoro. Questo ci ha permesso di curare ogni aspetto della produzione al millimetro. Dalla registrazione, nella quale abbiamo sperimentato molto raggiungendo dei suoni di sassofono e di chitarra che volevamo non aver mai sentito prima, fino al complesso arrangiamento, mix e master.
Agli archi come sempre c’è Mr. Nicola Manzan, che ha conferito ancora più spessore drammatico ai punti giusti.
“Inner Forest” è una canzone che abbiamo scritto in collaborazione con Francesco Chimenti dei Sycamore Age, band che adoriamo. Francesco ha suonato il violoncello elettrico e cantato e questo connubio ha portato alla scrittura del pezzo più eccentrico del disco, in parte psichedelico e in parte aggressivo, con uno svolgimento denso di colpi di scena. Per la prima volta ho deciso di cantare anche io nel pezzo (con gli altri featuring vocali ho sempre lasciato cantare un intero pezzo all’ospite senza “intromettermi”) e devo dire che lo scambio tra me e Francesco è una cosa che mi emoziona ogni volta che la risento.
Riguardo invece alla visone totale del disco devo dire che effettivamente il momento che mi ha colpito di più è stato il riascolto del prodotto finito dopo aver concluso i mix. Nonostante il disco avesse delle coordinate ben precise a livello di concetto e conseguentemente di produzione, le composizioni musicali provenivano da momenti diversi ed erano slegate da un qualsiasi contesto. Quindi fino alla fine non avevo la certezza che il disco fosse coerente con se stesso. Il primo ascolto totale del lavoro finito mi ha davvero sorpreso per la compattezza e la linearità dello svolgimento, togliendomi ogni dubbio.

Cosa vi resta ora che il tutto ha preso forma definitiva, che tipo di sensazioni provate nel tenere in mano il disco nella sua forma finale, che emozioni provate ora che questo percorso personale sta per essere condiviso con gli altri?

Ci resta una gran voglia di portarlo sui palchi e di farlo ascoltare a più persone possibile. Se godranno la metà di quello che godiamo noi suonandolo allora la missione sarà compiuta!

Mi incuriosisce sapere come vi porrete nel presentarlo dal vivo, avete già pensato se seguire il suo ordine da studio o rimescolare i brani magari alternandoli con estratti dai vostri lavori precedenti? Insomma, lo considerate un unicum indivisibile o ritenete sia fruibile anche come raccolta di brani a sé stanti?

In effetti la tracklist di questo disco è stato il lavoro più facile. È la storia che detta l’ordine degli eventi e quindi dei pezzi che li raccontano. Non avrei potuto decidere un altro ordine per l’album. Dal vivo però preferiamo tenerci più liberi di curare l’aspetto del fluire dei pezzi in maniera differente. Sicuramente continueremo a suonare dei brani dai dischi precedenti ma con un sound diverso, più aderente a quello attuale, e avremo anche un set up tecnico del tutto nuovo per noi.

Grazie mille per il vostro tempo, qualcosa da aggiungere? A voi le conclusioni e gli ultimi dettagli..

Grazie a voi per la vostra attenzione!
Salutiamo e ringraziamo le entità che ci hanno permesso di pubblicare questo nostro lavoro:
Overdrive, Dischi Bervisti, Dischi Sotterranei e Cave Canem DIY.
E vi ricordiamo le prima date del tour così se vi abbiamo incuriosito sapete dove trovarci!

25/03 Scumm – Pescara
26/03 Heartz – Fermo
29/03 Hub – Padova
31/03 Freak Out – Bologna
01/04 Benicio Live Gigs – Giavera (TV)

Per le date successive e per qualsiasi altra info potete trovarci su
captainmantell.com
facebook.com/captainmantell