ALESSANDRO CORTINI, Scuro Chiaro


A un primo sguardo il nuovo lavoro di Cortini appare come il sequel di Volume Massimo, disco uscito meno di due anni fa sempre su Mute: nel frattempo il musicista forlivese ha avuto l’onore di entrare – primo e unico italiano fino ad ora – nella Rock and Roll Hall Of Fame, grazie al sodalizio duraturo con i Nine Inch Nails, ha realizzato un disco assieme al producer britannico Daniel Avery e ha collaborato alla colonna sonora di un videogame. Scuro Chiaro appare caratterizzato da un artwork analogo a quello del suo predecessore, opera di Emilie Elizabeth e Raki Fernandez, eppure si tratta di due titoli profondamente diversi nelle intenzioni e nella costruzione dei pezzi. Se in Volume Massimo era percepibile chiaramente una trazione pop che in alcune tracce sembrava girare addirittura attorno alla forma-canzone, qui al contrario si tende a sviscerare un concetto musicale, un’idea, fino alla sua esplosione o implosione, una cosa a metà via fra il minimalismo storico e il punk.
Si parte con la cassa ipercompressa di “Ecco”, techno destrutturata e crepitante, quindi la seconda traccia, quasi una title-track, in puro stile Cortiniano, un esempio magniloquente di quel suono smerigliato tipico del sintesista romagnolo, capace di occultare la visione o di amplificarla giocando con la luce: qui il fiato viene meno con l’ingrossarsi del pezzo, i volumi vengono composti in maniera quasi plastica ed è un brano che da solo vale l’acquisto del disco. “Specchi” dà quello che promette, di nuovo un gioco di rifrazioni, un palleggiare di suoni sporchi e sudati: la prima cosa che mi è venuta in mente ascoltando la traccia è stata la famosa scena del labirinto di specchi in “La Signora di Shanghai” di Orson Welles (provate a usare i primi minuti del pezzo al posto dell’audio originale). In “Corri” Cortini usa, come spesso accade in questo lp, più la sciabola che il fioretto, un minimalismo grossolano e spicciolo che rasenta appunto l’attitudine punk; “Sempre” è caratterizzata da sciami di synth in volo radente, in “Verde” si gioca con asimmetrie e ritmiche irregolari. “Nessuno” dà prova della capacità di coltivare il rumore attraverso un lavoro di stratificazione che si traduce in un’intensa foschia sonora. Nel brano che chiude il disco trova spazio il retroterra regionale di Cortini in un singolare richiamo ai ritmi da balera romagnoli: “Fiamma” suona come una mazurka suonata in loop da un’orchestrina di androidi in rapido disfacimento.
Scuro Chiaro non indugia nel racconto intimistico come Avanti, né concede al pubblico più vasto come Volume Massimo: è un lavoro più “chiuso”, meno di impatto rispetto ai suoi predecessori e per molti versi si avvicina alla trilogia “Forse”, ed è consigliato a orecchie già avvezze al suono di Cortini.