ACID MOTHERS TEMPLE, Wake To A New Dawn Of Another Astro Era [+ le date del tour italiano]

Posseggo un’utilitaria giapponese: da otto anni mi accompagna in ogni dove senza aver mai visto il meccanico se non per il tagliando annuale. È la copia rivisitata di una piccola, vecchia e mitica vetturetta inglese: quando scelsi di comprarla lo feci perché aveva il cambio automatico di serie (star lì a cambiare le marce nel Ventunesimo Secolo mi pare, francamente, una grossa seccatura) e mi sembrava molto più originale rispetto al restyling subito negli ultimi anni dall’auto originale. E poi, diciamocelo, costava molto di meno. È un po’ la storia della produzione industriale giapponese: auto, moto, fotocamere, elettrodomestici, strumenti musicali nascono come riproduzioni di prodotti analoghi europei o statunitensi e velocemente finiscono per rimpiazzare per prezzo ma soprattutto per qualità, oggetti che, nati come copie, finiscono per diventare icone. È un po’ la storia degli Acid Mothers Temple, uno dei gruppi che meglio rappresenta un Paese per molti versi indecifrabile come il Giappone, inguaribilmente retromaniaco ma costantemente proiettato nel futuro.

Gli Acid Mothers Temple si formano a metà degli anni Novanta attorno alla figura carismatica del chitarrista/polistrumentista Makoto Kawabata e più che di un gruppo possiamo parlare di un collettivo (una trentina di soggetti, non tutti musicisti) radicato in tutto il Giappone, una sorta di comune diffusa di freak che si sposta fra varie abitazioni sparse sul territorio.

Kawabata, nato ad Osaka, subisce fin da piccolo il fascino dell’hard rock occidentale (il suo chitarrista di riferimento era ed è tuttora Ritchie Blackmore), ma allo stesso tempo è intrigato dalle astruse composizioni di Karlheinz Stockhausen. Nel tentativo di creare un’improbabile crasi fra le due cose, vengono fuori gli Acid Mothers Temple che, come spesso accade in simili frangenti, finiscono per suonare come qualcosa di molto lontano dalle intenzioni originarie: la loro è una psichedelia acidissima e dilatata, affidata in gran parte all’estro improvvisativo, parente stretta delle traversate interstellari di gruppi come Amon Düül II, Ash Ra Tempel e Agitation Free, rispetto ai quali la musica dei giapponesi trasmette pari se non maggiore autenticità e adesione alla materia. Il collettivo è straordinariamente prolifico e sono quasi cento i titoli a nome Acid Mothers Temple & The Melting Paraiso U.F.O., la ragione sociale più usata, accanto alla quale troviamo altre decine di incarnazioni differenti, dagli Acid Mothers Temple & The Cosmic Inferno agli altri progetti in cui gli AMT si fondono con altre band (Acid Mothers Gong, Acid Mother Afrirampo, Acid Mothers Guru Guru…), senza contare i numerosi progetti solisti e le collaborazioni del leader (particolarmente interessante il disco live, uscito lo scorso anno su etichetta Sub Rosa, degli Uneven Eleven, formazione che vede Kawabata al fianco del bassista Guy Segers e di Richard Hayward dei This Heat). Orientarsi all’interno di tale sterminata discografia è lavoro non da poco: in linea di massima possiamo dire che i frutti migliori di Kawabata e compagni sono collocati all’inizio del loro percorso musicale. Tutti i dischi autoprodotti e tutti quelli usciti per la P.S.F. Records negli anni Novanta sono da annoverare fra le prove più riuscite del collettivo e non sfigurano, in una ipotetica discoteca sviaggiona, al fianco dei capolavori space rock di un paio di decenni prima. Da non tralasciare sono poi alcune gemme uscite negli anni Duemila: La Novia, costruito sulla musica occitana (altra grande passione di Makoto), Univers Zen Ou De Zéro À Zéro e l’hendrixiano Electric Heavyland.

Venendo al disco in oggetto della recensione, diciamo subito che non è di certo fra gli imprescindibili all’interno della mastodontica discografia dei giapponesi, ma non rientra nemmeno nel novero di quelli da trascurare e più di qualcosa di significativo ed interessante vi si trova. Partiamo dicendo che costituisce uno dei molti punti di svolta nella storia della band: la sezione ritmica è stata completamente rinnovata, il bassista di lungo corso Tsuyama Atsushi è stato sostituito dal fantomatico S/T, mentre dietro le pelli adesso siede stabilmente Satoshima Nani. Il ritorno di Cotton Casino del 2014, la bizzarra e straordinaria vocalist/tastierista degli esordi, si è rivelato purtroppo un evento occasionale e in Wake To A New Dawn Of Another Astro Era la line-up appare particolarmente esigua rispetto alle ammucchiate del passato: indubbiamente il disco ne beneficia e finisce quantomeno per discostarsi da molte delle ultime prove in cui la band finiva un po’ per perdere il filo del discorso musicale. L’album è diviso in tre lunghe tracce: nella prima traccia, “Force In The Third System”, l’amore di Kawabata per l’hard rock anni Settanta si palesa purissimo, quasi scevro da sfuggevolezze psichedeliche, se non per gli oscillatori che, di quando in quando, ci ricordano di allacciare le cinture. È un pezzo monolitico, tutto basato sui riff, su break in odore di progressive e non convince appieno. Con la seconda traccia, “Nebulous Hyper Meditation”, il gioco si fa più interessante: il pulviscolo spaziale comincia a rimanere attaccato addosso e il motorik di Nani ci conduce attraverso galassie acide, fra nebulose di suoni che viaggiano in direzioni contrastanti ed esplosioni incontenibili. Il comandante Kawabata, armato della consueta logorrea sonora, sembra voler spingere la sua astronave ai limiti delle proprioe possibilità, fino all’autocombustione. L’equipaggio però non sembra accorgersi di niente, in preda ad allucinazioni mistiche. La traccia conclusiva, “Meridian Dimension – Lost Milkey Way”, presenta una prima parte tutta giocata sui cambi di marcia, che mette in risalto le doti del giovane batterista, fra accelerazioni e frenate, ed una parte conclusiva in cui invocazioni a chissà quali divinità celesti si innestano su un arpeggio più che confortevole, fino a che il pezzo non si spegne nel feedback assordante.

Ricapitolando, gli Acid Mothers Temple & The Melting Paraiso U.F.O. credono in quello che fanno e si sente: se siete loro fan questo è il genere di disco che potrebbe piacervi ma anche no, se non siete loro fan ma vi piace comunque viaggiare sulle note, questo è il genere di disco che vi porterà lontano anche se non si sa bene dove e se riuscirete a fare ritorno. Se non avete mai ascoltato prima gli AMT e desiderate farlo, forse vi conviene partire dai dischi usciti prima del Duemila.

Wake To A New Dawn Of Another Astro Era è disponibile su cd o doppio vinile (anche blu o rosa in edizione limitata) marchiati Important Records.

Tracklist

01. Force In The Third System
02. Nebulous Hyper Meditation
03. Meridian Dimension ~ Lost Milky Way