Trent’anni di Pornography

THE CURE, Pornography - annuncio della Fiction Records

Available from May 3rd…

La pubblicità della Fiction dice 3 maggio, l’anno è il 1982. I tre mascherati sono Laurence “Lol” Tolhurst (batteria, tastiere), Simon Gallup (basso, tastiere) e Robert Smith (chitarra, voce, tastiere). Produce Phil Thornalley, che nei Cure ci aveva anche suonato.

Basta leggere anche pigramente di musica per convincersi che, nel corso di trent’anni, l’impatto di quest’album, assieme a quello di Seventeen Seconds (1980) e Faith (1981), sia stato enorme non solo sui fan dei Cure o del genere gothic che spesso è stato loro affibbiato, ma su tutta una varietà di band, artisti e giornalisti. C’è stata una ristampa significativa nel 2005, con un secondo cd di rarità molto istruttive, perché sono brani che aiutano a dare il quadro generale della situazione. A questo contribuisce anche l’ascolto di tre pezzi da novanta di poco precedenti l’uscita di Pornography: “Charlotte Sometimes” (1981), singolo tristissimo mai pubblicato su album, “Splintered In Her Head”, il b-side che suona così attuale in epoca di revival lo-fi del post-punk, e “Carnage Visors”, colonna sonora del video (realizzato dal fratello di Simon) che apriva i concerti del gruppo nel 1981.

Charbons Ardents

La fanzine francese Fear Drop ha dedicato un numero monografico a Pornography nel 2008. Qui lo sfruttiamo come fonte per dare un paio di spunti interpretativi, anche perché l’autore Denis Boyer, da buon collezionista, per ogni affermazione ha cercato riscontro su riviste francesi e inglesi coeve che avevano intervistato la band, oltre che sulla sterminata serie di uscite minori legate ai Cure, tra singoli, bootleg e live. Già il cd allegato alla ‘zine dice molto sulla “eredità diffusa” di Pornography: per ogni pezzo dell’album viene chiamato qualcuno a eseguire una cover, quindi per esempio lo shoegaze-doom dei Nadja si fa carico della tragica “One Hundred Years”, il post-qualcosa degli Year Of No Light si misura con la desolazione di “The Figurehead”, l’ambient dei Troum se la vede con i tastieroni di “Cold”, mentre giustamente Hiroshi Hashimoto/Contagious Orgasm si prende il pezzo estremo, quella title-track che tra campionamenti vocali e noise chitarristico suona come la cosa più ostica realizzata da Smith, il che contraddice –assieme ad altri due-tre brani di questo disco – il giudizio di Simon Reynolds, che vede sostanzialmente i Cure come dark “moscio”.

The Cure 1982 - Belgio

Foto d’epoca

Si parla di un periodo storico di ripiegamento su problematiche individuali, non sociali. Si legge di contrasti nel gruppo (Simon lascerà presto la band, infatti), di Smith che va sotto con le sostanze e di Steven Severin (Siouxsie And The Banshees) che fa campagna acquisti per la sua band. Boyer s’adegua alla tradizione che vede Pornography come l’esito violento di un trittico composto dai più rassegnati Seventeen Seconds e Faith. Difficile, anche se non totalmente peregrina come idea, raggrupparlo con i successivi e distanti negli anni Disintegration e Bloodflowers, come ha fatto lo stesso Smith e come è documentato da un tour e un dvd (Trilogy Live In Berlin del 2003). Inevitabile, da trent’anni, il confronto su più piani coi Joy Division, che merita un articolo a parte.
Sin da Seventeen Seconds la band è alla ricerca di un timbro personale che la allontani dal punk. Per questo, scrive Boyer basandosi su dichiarazioni di Smith, sarà importante aver suonato dal vivo nel 1979 con i Wire, che in effetti furono maestri quanto a monocromia sonora e capacità di asciugare i pezzi. Del punk i Cure manterranno comunque l’essenzialità, donandole un carattere spettrale e arrivando anche a integrarla con le ripetizioni ipnotiche del minimalismo (per questo “Splintered In Her Head” e “Carnage Visors” sono importanti “storicamente”). La band trova un nuovo colore col quale rende il suo nuovo album più carnale eppure sempre gelido, per questo non è così semplice incasellarlo e per questo se ne può parlare come di un classico dentro al quale riguardare periodicamente per trovare qualcosa di nuovo.

One more day like today and I’ll kill you

Otto canzoni, “solo” 43 minuti, per un album che si può mandare tutto a memoria. Rimangono impressi il suono pieno e piangente della chitarra di “One Hundred Years”, le percussioni secche e la voce riverberata di “A Short Term Effect” e il tribalismo del primo singolo “The Hanging Garden”. A questo proposito, Boyer – infallibile – riporta dichiarazioni di Gallup sulla sua ammirazione per i Wasted Youth (quelli inglesi) e fa notare come la batteria del giardino pensile sia la stessa di “Maybe We’ll Die With Them” (brano di Wild And Wandering del 1981). Tocca poi alla rassegnata “Siamese Twins”, nella quale si gioca sul binomio pesantezza/reiterazione, a “The Figurehead” e “A Strange Day”: la prima è stata ispirata da oggetti ritrovati nel manicomio dove la band girò il video di “Charlotte Sometimes”, alla quale la seconda “ruba” la linea di basso. Si chiude con suoni gravi del violoncello e delle tastiere di “Cold”, poi la title-track, sperimentale come s’accennava, con una sezione ritmica che molto deve ad “Atrocity Exhibition” dei Joy Division, tanto per chiudere il cerchio.

Infine, la bravura di Smith come scrittore di testi è fuori discussione. In questo disco la tentazione è quella di liquidare tutto come (efficacissimo) flusso di coscienza o scrittura automatica, invece c’è spesso molta attenzione alla musicalità dei versi e una coerenza evidente di argomenti. Molte sensazioni su quanto crucciava Robert saranno state buttate su carta e poi messe in ordine sulle canzoni che più si adattavano (nella prima versione di “The Hanging Garden” ci sono immagini poi recuperate in “Cold”). I temi ricorrenti sono la mancanza di senso della vita, la monotonia, la tensione nelle relazioni interpersonali, la constatazione di un peggioramento fisico che forse rispecchia quello interiore, quindi la cronaca della propria malattia: non è un caso che tutti ricordino come si conclude il disco, forse perché Smith cita il nome della band e forse perché la prima fatica discografica del dopo-Pornography sarà un singolo ruffiano come “Let’s Go To Bed”: I must fight this sickness, find a cure.

THE CURE, Pornography - copertina della cassetta