KARA-LIS COVERDALE, 19/3/2016 (report e intervista)

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Torino, Superbudda. Ringraziamo Gabriele Daccardi per le foto.

Sono alla quarta edizione di En Avant, un progetto torinese di esplorazione della musica contemporanea. L’interesse nei rapporti tra tradizione e innovazione ha portato i ragazzi a regalarci, per il loro primo compleanno, la prima e unica data italiana di Kara-Lis Coverdale. Alle 22 inizia dal soppalco il dj-set della consolidata crew torinese TDC PALAZZI, che avvolge il pubblico addentratosi nel Superbudda in maniera sinuosa e mai invadente, con un gusto notevole nel cogliere il percorso della serata e al contempo riscaldare il pubblico stesso. L’alternanza di parti lente e alienanti con altre più energiche e movimentate sembra quasi una premonizione di ciò che ci attende questa sera.

Alle undici e mezzo Coverdale entra in scena e ci apprestiamo all’ascolto in religioso silenzio. Le proiezioni si spengono, rimangono solo le luci del loft dei Docks Dora. L’inizio è spiazzante: un fortissimo flusso di coscienza che quasi mi si figura “Paranoia In Hi-Fi” di immaginari Nurse With Wound cresciuti a Montreal, a organo e pianoforte. Dopo una decina di minuti gli spettatori cominciano a dividersi, forse perché spaventati o spiazzati da ciò che stanno ascoltando: c’è chi resta seduto e riesce ad abbandonarsi e a entrare nel mondo della ragazza e chi sta in piedi (distratto dagli amici) e non riesce a lasciarsi penetrare, lasciando un fastidioso brusio nei momenti più quieti del live. A risolvere questa separazione ci pensa l’ambiente creato ad hoc dal locale, così intimo da convincere i più a lasciarsi alle spalle oneri sociali e cattive abitudini. Kara-Lis, poi, insiste con ancora più forza e, dopo quasi mezz’ora, siamo dentro, con lei, in questo flusso che unisce calma e violenza in un tutto sonoro. È proprio ora che iniziano a palesarsi gli spettri sonori di Tim Hecker e Daniel Lopatin, che con un po’ di insistenza e personalità lei prova a scacciare. Ci riesce davvero, e quasi non mi accorgo che siamo giunti alla fine di questo suo mondo, e lo stiamo salutando proprio con un brano tratto da “Love Streams” di Tim Hecker (in uscita ad Aprile per 4AD), totalmente reinterpretato, a conclusione del live.

Non è facile, anzi, forse è quasi impossibile tirare le somme dell’esibizione. Siamo infatti di fronte a un caso in cui il giudizio soggettivo dovrebbe rimanere sospeso, o almeno limitato il più possibile all’accoglienza di un’esperienza intima e allo stesso tempo condivisa col pubblico. Ciò a cui ho assistito è stato infatti un set inaspettato, che magari non ha soddisfatto alcuni, ma sicuramente ha stupito tanti, quel tanto che basta per volerlo rivivere alla prossima occasione. Non possiamo che guardare con orgoglio a tale tipo di iniziative, nate per promuovere a testa alta la sperimentazione e i musicisti che gravitano attorno ad essa; Coverdale era così a suo agio che ci ha proposto un qualcosa di irripetibile e dedicato specificamente al pubblico italiano.

A conti fatti il tridente TDC PALAZZI – Superbudda – En Avant funziona. Questo incontro è infatti la prova definitiva della voglia di fare e dell’amore per la musica che i ragazzi stanno incidendo a gran voce sulla città. La chiusura è affidata al dj set di Francesco Rapone (Devil’s Dancers), fedele collaboratore di En Avant.

“What Words Cannot Say”, intervista a Kara-Lis Coverdale

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Kara-Lis era veramente emozionata per il live, così dopo averle lasciato una decina di minuti per riprendersi, ci siamo incontrati fuori dal Superbudda per scambiare due parole.

So che non eri mai stata a Torino prima d’ora. Ti è piaciuta questa esperienza?

Kara-Lis Coverdale: Assolutamente. Sono stata molto fortunata perché ho potuto visitare Torino per quattro giorni. Ho avuto quindi il tempo di girare per musei e incontrare molte persone. È una piccola città, ma veramente unica. Ogni persona qua è un ascoltatore incredibile.

Cosa rappresenta per te Sirens?

Sirens è come un incontro tra due mondi: il metodo tradizionale e popolare di comporre, contro un modo più umano di controllare il suono, una sorta di dicotomia di questi due differenti approcci alla produzione sonora. Molte persone la definiscono “ambient music”, ma per me non è così…

Se proprio dovessi, come descriveresti quindi la tua musica?

Per me è una sorta di “harmonic active music”: ad esempio molta musica ambient è pressoché statica, in termini di intenzioni armoniche, mentre penso a Sirens come a qualcosa di più dinamico rispetto a drone o strati sonori.

Hai utilizzato lo stesso approccio per il live di questa sera?

Assolutamente!

In questa serata mi sono sentito un po’ il tuo psicoanalista, un’esperienza paragonabile ad un flusso di coscienza…

Esattamente! A volte descrivono la mia musica come alcuni momenti in cui sei presente, sei in quel momento, alternati ad altri in cui la tua mente si distrae e inizia a vagare.

Le tue esibizioni sono state descritte come “uniche”, poiché non utilizzi un setup o un percorso predefinito. In base a cosa decidi di indirizzare il tuo live, e qual è il tuo intento nel suonare dal vivo?

È una bella domanda… Penso che per un contesto come questo (En Avant), che accoglie e promuove le sperimentazioni, fosse sensato utilizzare due brani tratti da Aftertouches, mentre gli altri erano completamente nuovi; ho pensato infatti che il Superbudda fosse un’opportunità per suonare dal vivo il materiale più particolare, come il primo pezzo per esempio. Quando ho suonato a Londra, ho subito pensato “Oh, non posso suonare questo dal vivo!”. Qua invece ho pensato che potesse funzionare. Per quanto riguarda il mio intento, penso che sia una questione di condividere ciò su cui si lavora. Lo definirei come un tentativo di consegnare un viaggio, un’esperienza.

Puoi anticiparmi qualcosa sui prossimi lavori o collaborazioni?

In realtà sto lavorando su del materiale nuovo da quando è uscito Aftertouches, un anno e mezzo fa… Anzi, Aftertouches è uscito esattamente un anno fa! Oggi è il 20 marzo, giusto?!
In ogni caso ho veramente tanto materiale su cui lavorare, per il momento sto ultimando e organizzando il tutto in un qualcosa che abbia senso, per poterlo pubblicare in larga scala, nel mentre porto avanti due piccoli progetti e altre composizioni, ma penso che il lavoro più grande uscirà il prossimo anno.

Ultima domanda: perché componi musica?

Penso che sia il miglior modo di descrivere il processo più profondo che sta avvenendo nel mondo. Se senti veramente da vicino ciò che ti circonda ti dirà molto riguardo a cosa sta accadendo. C’è stato un momento nella mia vita in cui ho detto “lasciamo perdere la musica, io voglio solo scrivere, voglio essere una scrittrice e basta”, ma poi, ad un certo punto, continuando a suonare, ho realizzato che questo era il mio modo migliore di esprimere me stessa, attraverso il suono.
C’è qualcosa che le parole non possono dire…