JUNE OF 44, 29/5/2018

Bologna, Locomotiv Club. La foto è di Marianna Fornaro, che ringraziamo.

L’antefatto: gli Uzeda compiono trent’anni e invitano nella loro città, Catania, alcune band amiche, per una festa degna di tale nome:  Shellac, The Ex, Three Second Kiss, The Black Heart Procession, Tapso II, Stash Riders, June Of 44.
I June Of 44, inattivi da Anahata, ultimo album che risale al 1999, decidono di intraprendere un breve tour italiano, dunque – oltre che in Sicilia per suonare con la band di Giovanna Cacciola e Agostino Tilotta – i quattro passano per Torino, Bologna e Roma. Naturalmente Jeff Mueller, Dough Scharin, Fred Erskine e Sean Meadows sanno di contare sull’affetto dei numerosi fan sparsi per la Penisola e la notizia del loro ritorno dalle nostre parti fa parecchio scalpore, soprattutto tra chi è cresciuto a pane e post-rock (termine che, se si scava per bene, veniva usato ben prima dell’ormai celebre interesse di Simon Reynolds, ma tant’è…).

Insomma, non ci sono nuovi dischi da promuovere, soltanto la voglia di riprendere in mano gli strumenti e riproporre quei pezzi che hanno riscaldato le camere di tanti ascoltatori che, oltre alle chitarre, nel rock cercavano pathos e originalità compositiva. Di quella corrente musicale, i June Of 44 restano forse tra gli alfieri più prestigiosi certamente al fianco degli Slint, poi attorno si sono consumate parabole anche piuttosto diverse tra loro ma unite appunto dalla voglia di dare al rock elementi di sostanza e originalità che forse una parte del grunge e il ritorno del punk più mainstream avevano esaurito rapidamente. In quel contesto davvero underground (tutti i gruppi di questa “corrente” hanno visto le major solo col binocolo), in cui gente come Gastr Del Sol, Storm And Stress e Tortoise si inerpicava negli anfratti più reconditi del rock, i June Of 44 hanno recitato la parte di quelli più sentimentali, e nell’esibizione bolognese ce lo hanno dimostrato.

Apre la serata il set, non proprio memorabile a dirla tutta, per sola chitarra di Joe Goldring, ex Enablers, band che si avvaleva di Scharin alla batteria. L’inizio vero e proprio è con “Pregenerate” (da In The Fishtank), poi si prosegue con “Anisette” (la traccia di apertura di Tropics And Meridians) per toccare l’apice con “Sharks And Sailors” nel primo bis e “Sink Is Busted” (che chiudeva il loro storico esordio per la Quarterstick Records, Engine Takes To The Water), il tutto intervallato dai sorrisi di Mueller e dalla partecipazione pure commossa del pubblico, che apprezza convinto. In mezzo passano “Lusitania”, “June Leaf”, “The Dexterity Of Luck” e “Doomsday”, tutto suonato molto velocemente. Nel volgere di un’ora scarsa (alla quale vanno aggiunti un paio di encore) i quattro assolvono al loro compito con abnegazione e certamente il necessario mestiere. Colpisce in particolare la forma fisica di Scharin alla batteria: è oggettivamente possente. Cos’altro rimane di una serata come questa? Forse poco altro, ma va bene così, abbiamo comunque avuto la possibilità di effettuare un fugace tuffo nel passato. Per fortuna, per chi c’è stato e per chi non è venuto, rimangono sempre i dischi.