JOHNNY MOX

Johnny Mox

Schietto e disponibile come al solito, il musicista trentino. Tra le altre cose, ci racconta di come sono stati i suoi inizi e della sua opinione riguardo alla scena musicale italiana odierna. Non lesina neppure consigli e considerazioni di varia natura: ciò denota anche ironia e bontà d’animo.
Un globetrotter spiritual che gira in lungo e in largo per lo stivale e per l’Europa con i suoi live-show, al quale auguriamo ancor più attenzione di quella che già sta ricevendo. Nel frattempo accaparratevi l’ep acustico appena uscito, scoprirete un suo lato nascosto.

Pur avendo adottato come nome un alter ego, ti chiedo lo stesso chi è Johnny Mox, secondo te…

Johnny Mox è come Peter Parker. Nella vita vera lavora al Daily Bugle e si sforza in tutti i modi di essere diligente. Gianluca invece è uno che passa le giornate ad arrampicarsi come un ragno, si sveglia prestissimo e vuol far troppe robe.

Suonavi nel duo dei Nurse!Nurse!Nurse!, prima. Cosa ti ha spinto a intraprendere una carriera in solitaria?

Ho cominciato a pensare di mettere in piedi un progetto da solo quando stavo a New York: durante quel periodo ho suonato con parecchia gente, ma allo stesso tempo mi sono messo a registrare cose per conto mio, in casa, con mezzi scarsissimi, facendo le prese della batteria allo Sweatshop a Brooklyn, uno studio dove pagavo 8 dollari l’ora per registrare quello che volevo e portarmi i file a casa. Sono sempre stato molto affascinato dai cori, dalla musica religiosa e da tutto ciò che ha a che fare con la preghiera e la circolarità. Le voci riescono a creare degli incastri e dei riverberi di una potenza devastante. Così, quando ho comprato la loopstation, ho capito quale sarebbe stata la mia strada. Mi manca tantissimo suonare in un gruppo, ma da qualche tempo sono entrato nei Bue, vera all star band trentina con gente de La Piccola Orchestra Felix Lalù, Fango, Kepsah, Death By Pleasure, Maso, Kuru. Siamo tutti amici, e per me è come essere assieme ai miei niggaz nel campetto da basket sotto casa.

We=Trouble è un lavoro che ha avuto ottimi riscontri della critica, che più volte ti ha presentato come una sorta di predicatore noise. Ti ci ritrovi in questa definizione o pensi che ci sia anche dell’altro?

Sono appunto molto attratto dagli spirituals e dall’immaginario dei vecchi reverendi predicatori. Nel disco mi sono sforzato di mantenere un approccio istintivo, primitivo, cercando allo stesso tempo di creare un suono che fosse stratificato e complesso in profondità. Mi piace il tipo di tensione che si crea tra gli incastri vocali e lo stile urlato dei sermoni. Vorrei poter continuare su questa strada e – perché no? –  riuscire magari anche a mettere assieme un coro vero e proprio.

So che hai fatto un bel po’ di date dal vivo. Ti piace tanto questa dimensione o lo fai solo perché negli ultimi anni è quasi d’obbligo farlo, visto che si vendono pochi dischi?

Avendo suonato per tre anni la batteria nei Nurse!Nurse!Nurse! più o meno il giro è rimasto lo stesso. Punk, diy, posti dove le persone vengono prima di ogni altra cosa. Dovendo per forza farci conoscere abbiamo sempre pensato: ok, suoniamo più forte e più veloce in modo che la gente possa ricordarsi di noi, ne basta uno nel pubblico che ci chieda di andare a suonare da lui ed è fatta. Ora le cose sono stilisticamente diverse, ma l’approccio è lo stesso: cerco di suonare il più possibile, perché il live è l’unica pratica che in questi anni ha mantenuto una qualche forma di purezza. Al resto volendo ci possono arrivare tutti: hai gli ampli giusti, la giacchetta di jeans giusta, la produzione leccata al punto giusto, il video figo, ma è sopra e sotto il palco che fai i conti con la realtà. Sta tutto in quello shock misto a eccitazione che provi guardando qualcosa di mai visto prima: è la molla che spinge tutto quanto un po’ più in là. Penso per esempio a quando ho visto i Lightning Bolt la prima volta: bam! comprati tutti i dischi al volo.

Ci racconti di questa nuova veste acustico-elettrica ─ più intimista e riflessiva ─ che si scopre ascoltando il nuovo ep Lord Only Knows How Many Times I Cursed These Walls?

Mi sono trovato una settimana a casa con la febbre ed ho cominciato a lavorare su del materiale che avevo da parte, cose per lo più acustiche. Negli ultimi anni ho sviluppato questo stile “percussivo” di suonare la chitarra e da tempo avevo in mente di registrare qualcosa del genere. Ne sono usciti quattro pezzi strumentali di stampo psych-folk, ma nemmeno troppo canonici. Un lavoro che ha come filo conduttore il tema della famiglia, della fuga dalle mura domestiche e della riappacificazione con i luoghi dell’infanzia. L’ep uscirà in cassetta per Mother Ship Records e come bonus-cd in allegato alla ristampa in vinile di We=Trouble, fuori per Sons Of Vesta, Musica Per Organi Caldi, Escape From Today e Solomacello. Sono stato in dubbio fino all’ultimo se farlo uscire a mio nome o utilizzare qualche altra sigla, ma alla fine, facendolo sentire agli amici, hanno tutti detto di essere stufi delle band con il suono sempre uguale. Così eccoci qua. Mi piacerebbe molto affiancare queste uscite “minori” ai dischi interi, per poter sperimentare su durate brevi e cose nuove.

Com’è nata la collaborazione con Above The Tree e perché hai scelto proprio lui? 

Ci siamo conosciuti qualche anno fa, gli ho organizzato un paio di concerti, abbiamo suonato assieme un paio di volte e mi è sembrato da subito che avesse un’idea molto intensa del fare musica. Mi piace la roba che fa, sa essere randagio ma allo stesso tempo molto raffinato; riesce a fare cose modernissime ma con un approccio antico, senza tempo. Nessuno può fermare Above The Tree.

Quali sono i tuoi rapporti con le altre realtà della musica underground italiana, conosci e segui alcuni di loro?

In questi anni ho girato abbastanza in Italia e in Europa e ho avuto modo di conoscere molte persone. Musicisti, gente che manda avanti etichette, promoter, giornalisti, gestori di locali, blogger, fonici, illustratori, gente di collettivi, fotografi. Fanno tutti qualcosa, e lo fanno con una dedizione impressionante a fronte di ricavi miseri. Non starò qui a fare la solita apologia del diy, perché in molti casi non è più una questione di scelta politica, è diventata una questione di sopravvivenza. Contano le persone, conta fare le cinque di mattina dopo il concerto a casa di qualcuno parlando di progetti da condividere o magari anche solo di quanto erano fighi i Goblin o del documentario su Pete Seeger. Se però dovessi scegliere una band e un’etichetta che incarnano perfettamente questo tipo di approccio non avrei dubbi: Putiferio e Macina Dischi.

E ci racconti di eventuali altre passioni che hai, oltre alla musica?

Il sesso, le gif animate e l’uva passa.

Saluta e dai un consiglio ai nostri lettori.

Cinque altissimi per New Noise! E all’Autogrill ricordate: non comprate i biscotti di riso soffiato NIPPON, gli UODDIU sono decisamente molto, molto meglio.

Johnny Mox