ISAAK, Sermonize

ISAAK, Sermonize

Gandhi’s Gunn prima, Isaak ora. Dopo essere passato dalla Taxi Driver Records alla Small Stone, il gruppo è in giro col nuovo nome ormai già da diversi anni, almeno dalla riedizione di quel The Longer The Beard, The Harder The Sound che aveva dato uno scossone a tutta la scena doom e stoner italiana, riscuotendo anche ampi consensi all’estero. Si trattava di una dichiarazione d’intenti ben precisa e di un grido di battaglia fiero e potente, un concentrato di anni di sforzi e completa dedizione alla causa che li mostrava già esperti nel maneggiare la materia heavy doom e in grado di plasmarla a loro piacimento. La band conferma la sua bravura con questo Sermonize, esordio a tutti gli effetti come Isaak se vogliamo, dato che è composto da inediti (e da un paio di cover). Una conferma, certo, ma non solo (sarebbe stato strano il contrario, vista la gavetta e i numerosi tour), perché si parla anche di una rinnovata capacità di scrittura, che ha portato i quattro a esprimersi ancora meglio. Una testimonianza di questa crescita si potrebbe riscontrare in un pezzo come “Soar”, con il suo incedere pesante e tellurico, pienamente heavy, inframmezzato da dei gradevolissimi stacchi dal retrogusto quasi hardcore e impreziosito da una voce energica e melodica al tempo stesso. Il cantato di Giacomo Boeddu, infatti, è senza dubbio una delle caratteristiche predominanti in tutto il disco: il tono è lievemente alla John Garcia, ma più ruvido e profondo, il che dona più potenza al tutto.

Sermonize scorre liscio, lasciandosi ascoltare con estremo piacere dalla prima all’ultima traccia. Riff, ritmiche, suoni, soprattutto il groove trascinante che ha sempre caratterizzato la formazione: ogni cosa è al suo posto, dall’apertura affidata a “Whore Horse”, un blues sfilacciato e “stonerizzato”, passando per i due pesi massimi di “The Peak” e “The Fountainhead”, scontrandosi poi con la riuscitissima rivisitazione di “Lucifer’s Road” dei White Ash e con un’improbabile cover di “Yeah” dei Kyuss, sino alla conclusione della folle corsa con le atmosfere soffuse e quasi folk della title-track, nella quale la voce si fa corale e sussurro notturno.

Il cavallo da guerra degli Isaak si fa carico delle varie influenze provenienti da Orange Goblin, Clutch, Fu Manchu e altri ancora, trasportandole su un altro livello, più personale rispetto ai dischi del passato. Sermonize, in questo senso, è di sicuro un passo in avanti importante per un gruppo messo alla prova negli ultimi tempi da cambi di line-up (Gabriele Carta al basso al posto di Massimo Perasso) e dal furto della sua strumentazione dalla sala prove. Nonostante queste difficoltà, la tenacia dei ragazzi è stata ripagata, e ampiamente anche, con un disco validissimo, che non ha niente da invidiare a quelli di firme più prestigiose.