CHRIS CORSANO

Il batterista Chris Corsano, originario del New England, appare in più di 140 pubblicazioni, ha tenuto circa 1000 concerti e ha collaborato con musicisti provenienti dagli ambiti più disparati: sassofonisti dell’area free jazz/impro quali Paul Flaherty, Joe McPhee, Akira Sakata ed Evan Parker, chitarristi di culto legati alla scena rock come Thurston Moore, Jim O’Rourke, Nels Cline, Sir Richard Bishop, oltre ad artisti unici come Björk, Ghédalia Tazartès, Merzbow e Jandek. La rivista inglese The Wire descrive così il suo lavoro: “Corsano, pur essendo probabilmente il batterista più energico e creativo del free jazz contemporaneo, fa molto di più che picchiare sul suo strumento come un forsennato. Suonare forte non significa trascurare il dettaglio, e gli improvvisi cambiamenti di struttura e dinamica di Corsano sono una meraviglia da vedere”.

L’occasione per intervistarlo è un tour italiano (prevalentemente in solo) di due settimane che passerà anche per l’Outside Inside Studio di Montebelluna il 26 aprile, per Argo16 a Marghera il 29, poi Dobialab (Staranzano, GO) il 30, Diavolo Rosso ad Asti il 3 maggio e infine Area Sismica il 6 maggio.

Nota della redazione: come giusto, pubblichiamo l’intervista a firma Dobialab, dato che le domande sono frutto del lavoro collettivo dei ragazzi dell’associazione, i quali, nell’organizzare la data di Chris da loro, hanno ben pensato di approfondire la conoscenza che avevano di lui.

“In The Beginning There Was Rhythm” è il titolo di una canzone delle Slits: com’è nata la tua passione per il ritmo? Qual è stato il tuo approccio alla batteria?

Chris Corsano: Mio fratello maggiore suonava la batteria, quindi penso che sia cominciato da lì. Aveva lasciato una batteria a casa dei miei genitori dopo aver traslocato. Penso che molti bambini lo facciano, ma nei miei primi tentativi di suonare la batteria, battevo sui tamburi insieme con la melodia di qualsiasi canzone che ascoltavo, invece di cercare di suonare un ritmo “dietro” di essa. Alla fine capii che questo non era il tipico modo in cui si suona la batteria. Eppure ora sto cercando di ottenere il maggior contenuto melodico possibile da un batteria, quindi si può pensare a una sorta di chiusura del cerchio.

Da dove hai tratto l’ispirazione per tutte le tue “tecniche estese” (come l’uso di oggetti estranei quali corde di violino, archetti, strumenti a fiato modificati, legni e metalli) e in particolare per l’impiego di oggetti dalle superfici vibranti?

In parte è nata dall’osservare i diversi approcci di batteristi (e sassofonisti, bassisti, pianisti…) nel costruire i propri linguaggi espressivi. Ma prima ancora di sapere che c’era un concetto chiamato “tecniche estese”, usavo qualsiasi tipo di spazzatura che trovavo in giro per casa, perché credo che mi siano sempre piaciuti i suoni strani. Il motivo per cui cominciai questo processo fu che ero al verde e per ampliare il mio drumkit usavo qualsiasi cosa disponibile.
Scoprii le superfici vibranti passeggiando in un parcheggio: accidentalmente calciai una di quelle piccole lame di metallo che si trovano sulle spazzatrici stradali. Il suono mi piacque, quindi la portai a casa per vedere come potevo impiegarla. Avevo un bocchino per sassofono e un imbuto. Dopo un po’ scoprii un sistema che utilizzava queste tre cose con la respirazione circolare e che poteva suonare in maniera molto diversa da una batteria. Un suono più elettronico, in un certo senso. All’epoca vivevo in un condominio, quindi non potevo suonare sempre a pieno volume. Così cercai altri suoni con cui lavorare. Sono sicuro che quelli che producevo non sembravano musica ai miei vicini e forse è per questo che non si sono mai lamentati!

Penso che una delle prime cose che ho ascoltato a tuo nome sia stato l’album in solo The Young Cricketer. Dopo quella gioiosa esperienza d’ascolto, mi sono appassionato e ho scoperto con grande soddisfazione i tuoi altri album da solista (Another Dull Dawn, Cut). Cosa pensi dell’esperienza in solo? Pensi sia un modo di fissare alcuni esperimenti sonori? O un modo per sfidarti e perfezionare la tua tecnica?

È come una ripresa ravvicinata in un film. È possibile vedere da vicino cosa sta succedendo al personaggio, ingrandito con tutti i piccoli dettagli messi a fuoco. Ad eccezione di Another Dull Dawn, faccio tutto il lavoro io stesso (il suonare, la ripresa, il missaggio, l’artwork, la pubblicazione), quindi credo che sia una sorta di mia piccola dichiarazione al mondo. E in un ambiente live, si tratta davvero di reagire all’acustica della sala e al pubblico.

Le tue collaborazioni musicali sono impressionanti sia in termini di qualità che di varietà (dalle formazioni noise a Björk!). Come sei riuscito a entrare in contatto con misteriose figure di culto come Jandek o Ghédalia Tazartès e/o con l’icona pop globale Björk? Ti sei sentito a tuo agio in questi contesti musicali?

A volte sì e a volte no. Ci sono stati momenti in alcuni degli spettacoli di Jandek in cui ho davvero lottato per cercare di rendere giustizia alla sua musica pur rimanendo fedele a me stesso in qualche modo. Amo i dischi della Corwood, ma non pensavo che avrebbe avuto senso per me cercare di copiare lo stile di qualcun altro. Con Ghédalia Tazartès e Björk, e in verità con chiunque io suoni, la sensazione migliore è quella di suonare assolutamente e totalmente (absolutely and totally going for it) senza costrizioni o compromessi, e di spingere le altre persone a fare esattamente lo stesso.

Il classico “raw power free jazz”, duo batteria/sassofono, è probabilmente l’ensemble più frequente in cui hai suonato (con Paul Flaherty, Joe McPhee, Mette Rasmussen, Virginia Genta, Paul Dunmall…). Perché pensi che questo tipo di duo, a più di 40 anni dallo storico Coltrane/Ali “Interstellar Space” e da Lowe/Ali “Duo Exchange”, sia ancora interessante da indagare nel contesto della musica improvvisata? Cosa ti piace quando suoni in questo tipo di ensemble?

Penso che ci sia tantissimo terreno da poter coprire con questi due strumenti insieme. E la gente continua a proporre cose nuove da dire con ciascuno di questi strumenti. Mi piace la continua ricerca di nuove possibilità in questi duetti, l’illimitata comunicazione a fuoco rapido e l’empatia sonora presente in un buon duo sassofono-batteria.

Quali sono i tuoi progetti per i prossimi mesi?Cosa stai ascoltando più di frequente negli ultimi tempi?

Sarò un po’ in tour nei prossimi mesi. C’è questo tour di due settimane in Italia che mi entusiasma molto, e poi un viaggio a Vancouver, in Canada, nel mese di giugno. Nel mese di agosto farò un po’ di date nel Regno Unito con Michael Flower.
Ultimamente ho ascoltato molto Monk’s Dream di Thelonious Monk, White Light/White Heat dei Velvet Underground, Otis Rush, Haruna Ishola… E ho mixato un disco in duo con Christine Abdelnour che abbiamo registrato lo scorso agosto.