LENTO, Anxiety Despair Languish

Anxiety Despair Languish

Nuovo album per i romani Lento, prima quartetto e poi quintetto, dotati di un mostruoso esercito di chitarre (tre: Donato Loia, Lorenzo Stecconi, Giuseppe Caputo), un basso (Emanuele Massa) e una batteria da guerra (Federico Colella, che si occupa anche di sintetizzatore e campionamenti). Indimenticabili, per potenza, se li avete visti dal vivo…

Anxiety Despair Languish è uscito pochi giorni fa per la casa discografica tedesca Denovali. È il quarto album della band, dopo l’ep di debutto autoprodotto nel 2004, gli album Supernaturals: Record One (in collaborazione con gli amici Ufomammut) ed Earthen, entrambi usciti nel 2007 sulla Supernatural Cat, e infine Icon, uscito nel 2011 per Denovali.
A detta della band, questo nuovo passo s’identifica con lo sforzo ambizioso di rielaborare e coniugare le componenti stilistiche variamente sviluppate in precedenza. E ce n’è di roba su cui lavorare: lo stile dei Lento è ricchissimo di spunti e d’ispirazioni. La loro musica, solo strumentale, include richiami a doom, sludge, post-metal, post-hardcore, black metal, psichedelia, ambient, shoegaze, drone… non per niente vengono spesso citati, come riferimenti, Neurosis, Sunn O))), Isis, Sleep, Earth, Electric Wizard… ma i Lento hanno avuto abbastanza fantasia e tecnica da creare uno stile personale.

Anxiety Despair Languish è maestoso, ma come i dischi precedenti non esagera in lunghezza. Le tredici tracce assommano a poco più di quaranta minuti, durante i quali succede di tutto. Il gruppo, comunque, dà spazio alla melodia e alle atmosfere rarefatte costruite sia con l’impiego di sonorità acustiche e sintetizzatore/campionamenti, sia con le stesse chitarre usate poi per creare muri di suono martellanti e tellurici, quelli che caratterizzano l’altra sua faccia, quella della pesantezza impressionante, che si affianca alla grande abilità tecnica. Melodie eteree e, talora, intime, acustiche, caratterizzano infatti “Glorification Of The Chosen One” e “Death Must Be The Place”, nelle quali però la vocazione a pesantezza e distorsione doom-sludge e alle sperimentazioni torna in refrain con un dispiegamento di riff massicci e variazioni di tempo capricciose, che vanno da gran lentezza a frenesia apocalittica, quasi da black metal (nella seconda, ad esempio). La terza traccia, “Questions And Answers”, evoca Alcest ed Amesoeurs, quindi sonorità sognanti shoegaze unite a (meglio: inquinate da) un inquietante feedback noise gorgogliante e cupo. Verso la fine si torna alle melodie sognanti, che poi spariscono nel nulla. Dallo stesso nulla i Lento tornano con una seducente parentesi acustica a chitarra riverberata, un filo malinconica ma calda, a dispetto del titolo della traccia, la quarta, “Blackness”.

Dopo neanche due minuti di pace, il ciclo dei Lento si ripete. Con “Anxiety, Despair and Languish”, che dà il nome a questo album poderoso, si torna al frastuono, ai ritmi pressanti, alle atmosfere allucinate create dal tappeto di rumore, dall’esercito di chitarre in assetto sludge/post-metal ultra-distorto, dal basso pulsante e dagli assoli isterici che interagiscono con l’impressionante rombo della batteria. A metà circa, in un momento di tregua relativa, si percepiscono perfino rintocchi strani, forse prodotti dal sintetizzatore, ma che sembrano note di xilofono oppure, volendo viaggiare un po’ con la fantasia, fugaci rintocchi di canne di bronzo votive che echeggiano in una valle tibetana…

In “The Roof”, dinamica, breve ma poliedrica, si apprezzano il basso protagonista, che conduce le divagazioni della chitarra, e il fiorire delle sonorità ammalianti a cavallo di post-metal, shoegaze e psichedelia/space metal. “Years Later” è un’altra breve pausa riflessiva, di nuovo quasi orientaleggiante, costruita con rintocchi ed eco, la quiete prima del ritorno del suono quasi da battaglia che domina le successive tre tracce, “A Necessary Leap”, “Underbelly” e “Blind Idiot God”. In quest’ultima le accelerazioni includono anche sfacciate scorribande punk/thrash che, nel marasma di stili del disco, incredibilmente, ci stanno dentro benissimo. Del resto c’è sempre spazio per qualcosa di diverso che aumenti il senso di alienazione, come l’ingresso di voci blateranti verso la fine di “Underbelly” o le chiusure tramite drone inquietanti, protratte a mo’ di sinistra sirena, o ancora campionamenti ed elaborazioni elettroniche stralunate e psichedeliche. Sono proprio queste ultime che, a partire dalla fine “Blind Idiot God”, tracimano nella successiva, “Inwards Disclosure”, ed evocano un vuoto cosmico allucinante, pura psichedelia space (appunto), affascinante e paurosa per i rumori ignoti, extra-terrestri, che la popolano, a metà tra certi trip cosmici da 35007 od Øresund Space Collective e lo space metal horror degli Oranssi Pazuzu. Dall’incubo fantascientifico si esce con le due ultime tracce, la possente “Unyielding/Unwavering” e la conclusiva “My Utmost For His Highest”. Il ritmo sostenuto della penultima traccia ci riporta a una dimensione più “terrestre”, con il fiorire della sua melodia portante molto tecnica, che nasce dinamica e si tramuta poi in contemplativa, una specie di fusione “fredda” (ma di grande fascino) di desert rock psichedelico e prog atmosferico. L’album si conclude con un “lieto fine”, almeno a me suona così. Sono sempre presenti dissonanze post-metal, ritmi sincopati di “funky” distorto in cui la band si sfoga (alla Meshuggah, o, tanto per restare in patria, alla Morkobot) e si diverte,con la tecnica. Questi nuclei di suoni attorcigliati, però, sono immersi in una melodia di fondo fatta di ariosità e fughe, nella quale l’ululato delle chitarre e il fragore della batteria diventano cori ammalianti. E, infatti, dopo tanta pesantezza pazzoide, ci si perde nel miracoloso languore catartico del black shoegaze.

Impressionante…

Tracklist

01. Glorification Of The Chosen One
02. Death Must Be The Place
03. Questions And Answers
04. Blackness
05. Anxiety, Despair And Languish
06. The Roof
07. Years Later
08. A Necessary Leap
09. Underbelly
10. Blind Idiot God
11. Inwards Disclosure
12. Unyielding / Unwavering
13. My Utmost For His Highest