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MAXINE FUNKE, River Said

Frequento poco i negozi di dischi, dove vivo non ce ne sono. Così, quando mi capita di visitarne uno, mi piace farmi consigliare o sorprendere da chi ci lavora. È così che da Torino sono tornato a casa con River Said, quinto lp di una cantautrice neozelandese prodotta da un’etichetta che ha tra le sue fila anche bei soggetti come Wolf Eyes e Bogdan Raczynski. Maxime Funke vive e opera a Dunedin, cittadina che ha lasciato un segno nella musica pop degli ultimi 40 anni, creando un vero e proprio suono caratteristico (ricordate i The Clean e i The Chills?). Partendo da qui Maxime si arma di chitarra e voce soave e gentile, gettandosi in bozzoli di canzoni, fresche e naturali, avvolgenti come ricette con pochi e sani ingredienti, vero e proprio comfort food musicale. Si suppone che sia una lieve brezza a baciare l’opera casalinga di Maxime, la quale scrive, suona e registra tutti i brani, ornandoli con una splendida copertina vergata da Clayton Noone, fumettista e disegnatore che si trattiene, limitandosi ad immortalare due paia di gambe a bagnarsi in un fiume candido. Candido come le linee di questo disco, un cantautorato leggero e intenso, avvolgente e completamente fuori dal tempo. Cantautorato che parte dal folk, per passare in anni di autoproduzioni e flussi di coscienza per ricostruirsi come espressione artistica a sé stante, in cui non vi sono barriere fra chi canta e chi ascolta, entrambi bagnati dalla medesima corrente. Approfondendo si scopre dei trascorsi della nostra nei $100 Band in compagnia di Alastair Galbraith e nei The Snares, gavetta che le ha fatto sicuramente immagazinare esperienza che qui centellina, andando ad agire solo quando necessario, prendendoci per mano nelle canzoni ed abbandonandoci ai suoni negli ultimi due brani. Long Beach sono uccellini e linee in delay, come i cinque minuti prima dell’alba su un paesaggio aperto e spettrale. Uccellini che rimangono anche nella conclusiva Oblivion, dove il violoncello fa la sua parte quasi facesse parte della famiglia di pennuti. Prima che la voce e la chitarra intervengano come in discesa dalle stelle, luminose ed incorporee. Al termine di questa canzone non resta altro da fare che togliere il vinile dal giradischi e ringraziare mentalmente quanti ce l’abbiano consigliato. Grazie.