Nei sogni di Physalia

Physalia (Arianna Pegoraro) è una cantautrice e pianista friulana, classe 1998. Oniria, il suo esordio, è appena uscito per Okum Produzioni (Torino), etichetta di Manuel Volpe della Rhabdomantic Orchestra che ha già messo in circolazione roba eccellente come Massimo Silverio e Fabio Mina. Alla produzione anche Nicholas Remondino (LAMIEE.), uno che di certo è in grado di dare sfumature meno scontate al sound di un disco. Un giro di musicisti che, insieme anche a Michele Anelli, si è mosso pure dietro allo stupendo Hrudja di Silverio, il quale poi ha fatto conoscere Arianna a tutti gli altri. Mi piacerebbe avere più tempo per loro: sono sicuro che troverei ancora altro terreno comune.

La giornalista scrittrice che ama la guerra / perché le ricorda quand’era giovane e bella, cantava Jovanotti prendendo per il culo la Fallaci. Io non vorrei che fosse questo forte legame tra Physalia e gli anni Novanta musicali, quand’ero giovane e meno brutto di adesso, ad avermi infatuato: sicuramente c’è Fiona Apple, le cadenze dell’album sono trip hop al mille per cento, aleggia lo spirito di Björk e vorrei andarmi a risentire i pezzi dei Radiohead col piano protagonista (tipo “Pyramid Song”, “All I Need”…) per vedere i punti di contatto. Io spero, insomma, che non sia il fatto che Oniria mi “consola” a farmelo ascoltare così tanto, ma – come penso – la rielaborazione di tutte le influenze importanti in qualcosa di personale, più la voce e l’interpretazione autentica e sfaccettata. “Astral Hurricanes”, “Vertical Eye” e “Devoured By The Sun” sono un trittico iniziale (e, una volta, anche tre singoli per la radio) che tirerebbe dentro chiunque e ci trasforma in sonnambuli che girano nella testa di Physalia. Mi sembra proprio che qui ci sia un incontro felice tra un’esordiente con un grosso potenziale e una banda di amici che la supporta ed eleva, un tipo di collaborazione che di rado avviene dalle nostre parti.

La prima cosa che vorrei chiederti è chi ti ha insegnato come cantare.

Physalia: Essendo nata in una famiglia di musicisti classici, la musica è sempre stata presente nella mia vita. Mia mamma mi racconta che alle elementari facevo i compiti cantando la Ciaccona di Bach, che sentivo suonare da mio padre. L’idea di prendere lezioni di canto è arrivata in adolescenza. Dopo un infortunio non potevo più fare danza e sentivo il bisogno di trovare un nuovo mezzo di espressione. Negli anni avevo scoperto che scrivere era un metodo molto utile per comprendere le mie emozioni, così ho provato a scrivere delle canzoni aiutandomi con il pianoforte (ho iniziato a studiare pianoforte classico a 6 anni, per poi approcciarmi al pianoforte moderno sempre in tarda adolescenza). Ho avuto diverse insegnanti di canto negli anni ma la persona dalla quale sento di aver imparato di più è sicuramente Flavia Quass, cantante formidabile con una preparazione didattica molto vasta e trasversale. Ci tengo molto a nominare Antonella Grusovin, mia ex insegnante di Musicoterapia Vocale, che mi ha mostrato la vocalità sotto una prospettiva del tutto nuova. E quali migliori insegnanti se non i cantanti che hanno accompagnato i miei ascolti in tutti questi anni? La cosa più importante che ho appreso è che la voce è lo specchio dell’intero corpo e della mente; acquisire certe consapevolezze emotive ha portato a nuovi colori nella mia voce quindi penso che ogni esperienza possa essere d’insegnamento nella vocalità.

Una seconda è di sicuro la tua relazione musicale con gli anni Novanta, con gruppi e solisti “usciti” negli anni Novanta.

I miei artisti preferiti sono tutti nati musicalmente negli anni Novanta. In primis i Radiohead, mio gruppo del cuore, che sento avermi influenzata molto, probabilmente più i loro album dal 2000 in poi, nello specifico Kid A, In Rainbows e A Moon Shaped Pool. Come non nominare Björk, infinita fonte di ispirazione, Debut e Homogenic sono tra i miei album preferiti nella sua discografia. Negli ultimi anni la cantante che probabilmente sto ascoltando di più è Fiona Apple, Fetch The Bolt Cutters è un vero capolavoro. Mi piace molto il trip hop, quindi non posso fare a meno di citare i Portishead e i Massive Attack. Altri nomi che mi vengono in mente sono PJ Harvey, Tori Amos, i Blonde Redhead, Cat Power e i Low.

Voglio – ma è anche un po’ il mio “lavoro” – chiederti anche come è nata la collaborazione con Okum, Volpe e Remondino. Stanno tirando fuori roba incredibile (Fabio Mina, Massimo Silverio…) e quindi tendo a pensare che loro stessi siano una delle cause della bellezza di questi dischi.

Conosco personalmente Massimo Silverio da diversi anni (prima ancora dell’uscita di Hrudja), mi ha introdotto lui a Nicholas Remondino e Manuel Volpe. La prima volta che ho sentito suonare live Nicholas sono rimasta folgorata, ma la realizzazione di un mio disco era ancora un’idea molto lontana. Dopo qualche anno, ho fatto ascoltare i miei brani a Nicholas e mi ha proposto di lavorare insieme a delle preproduzioni. Una volta raccolto abbastanza materiale lo abbiamo fatto ascoltare a Manuel, che è rimasto molto colpito e mi ha proposto di produrre il disco. La loro presenza è stata fondamentale, Nicholas è dotato di una sensibilità musicale fuori dal comune, con mie poche parole è riuscito a ricreare esattamente i suoni che avevo in mente, Manuel ha fatto un lavoro di produzione incredibile, sin da subito ha avuto una visione d’insieme del progetto, creando un’impronta sonora ben definita. Sono molto felice di aver potuto lavorare con un team di musicisti che stimo molto, durante le registrazioni si è creata una bellissima sinergia, grazie anche alla presenza di Matteo Rizzo (assistant engineer), sempre disponibile a dare preziosi consigli.

Io penso che Oniria abbia un po’ di pezzoni, per questo vorrei sapere come mai hai scelto “Devoured By The Sun” per far sapere al mondo del tuo disco.

È stata una scelta difficile, ci rendevamo conto che il disco poteva essere potenzialmente presentato da ogni brano, infatti in studio abbiamo riposto la stessa cura ad ogni canzone. Già dalle preproduzioni “Devoured By The Sun” era sbocciata in modo molto genuino, era chiaro che sarebbe stata un singolo. Il brano è una metafora del dover passare necessariamente attraverso il dolore per poter sentire il calore della guarigione; quindi penso possa rappresentare bene l’intero disco. Ricordo che in studio Nicholas ha detto che questa canzone è una corsa, questa immagine ha risuonato in me e ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura del videoclip. Avevo in mente diverse idee ma non riuscivo a collegarle tra loro, poi una sera mentre ero ad un concerto ho visto a occhi aperti il video e ogni elemento è andato al suo posto. Mi diverte molto il fatto che io stessa non so dare un’interpretazione al video, mi affascina vedere come ognuno ne tragga un significato diverso.

A proposito di pezzoni, io vorrei portarmi a casa due parole su “Vertical Eye”. Se capisco bene, ha avuto una genesi faticosa. Curioso, perché secondo me scorre e non perde un grammo di emotività durante il percorso…

All’interno del disco è sicuramente il brano che ho cambiato più volte. Rispetto alla prima versione (risalente al 2020) ho tenuto solo l’arpeggio della strofa. Solitamente ho un approccio molto immediato e improvvisativo, quindi tornare su un pezzo molte volte mi fa perdere l’istintività creativa, però ogni brano richiede un’attenzione e una cura diverse. Sicuramente “Vertical Eye” mi ha insegnato che nei momenti di blocco, la soluzione è “fare”, un’idea esce sempre, magari non è quella definitiva ma ti condurrà nella giusta direzione. A volte ho l’impressione che i brani che creo esistano già perché il più delle volte escono in modo troppo limpido, basta porsi in una condizione di ascolto. In ogni caso sono felice che “Vertical Eye” abbia avuto una genesi molto lunga, perché essendo una persona visiva, quando la canto riesco a visualizzare tutti i luoghi nel quale si è evoluta.

“Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte”. Da distratto patologico, questa è la mia citazione preferita sui sogni. Mentre tanti chiudono la finestra che dà sul loro subconscio, mi par di capire che tu preferisca tenerla ben aperta…

La dimensione del sogno ha attirato la mia curiosità sin dalla primissima infanzia. Riesco tutt’ora a visualizzare in modo molto dettagliato dei sogni fatti nei primi anni di vita. Penso che le cose più importanti che ho appreso di me stessa le abbia elaborate attraverso il mondo onirico. Non riesco a immaginare la mia vita senza questo legame. Tutte le volte in cui ho attraversato momenti di difficoltà ho trovato di grande aiuto riconnettermi con quelli che riconosco essere i miei simboli interiori, mi danno una grande forza ed energia, anche a livello musicale. Durante la quotidianità siamo costantemente mossi da meccanismi inconsci, quindi chiudere la finestra verso questa parte essenziale di noi stessi penso sia poco saggio per vivere in armonia con il mondo che ci circonda.

Dischi, libri e film, una volta pubblicati, non sono più solo tuoi, ma degli altri. Come te la vivi, considerato che c’è molto di te anche nei testi?

In questo momento mi sento molto esposta e vulnerabile, ma allo stesso tempo questa sensazione mi fa sentire una nuova forza. È la prima volta che mi presento al mondo con qualcosa di così intimo e personale. Non ho mai composto pensando che queste canzoni sarebbero diventate un disco, l’ho sempre fatto come mezzo di espressione nei momenti di difficoltà, quindi mi fa una certa impressione pensare che ora potranno essere ascoltate da chiunque. Forse se avessi saputo che sarebbero state pubblicate, non avrei detto alcune cose presenti nei testi, ma sarebbero risultati meno autentici, quindi non me ne pento. Alcuni brani del disco sono ormai di diversi anni fa, ma non ho sentito l’urgenza di farli uscire perché volevo essere soddisfatta del risultato. Ora sono felice di un suono che sento rappresentativo, penso sia arrivato il momento di lasciarli andare.

Siccome nulla accade per caso, ti consiglio un duo il cui ultimo disco s’intitola “Nekyia”, come la chiusa del tuo album. Guarda caso è l’episodio meno “pop” di Oniria: sono convinto che diventereste amici. Ti do un po’ di contesto. Ora consigliaci un disco tu (e dicci perché).

Grazie! Lo ascolterò sicuramente. Nelle ultime settimane sto ascoltando molto Joanna Newsom. Mi era stata consigliata alcuni anni fa ma c’era qualcosa che mi sfuggiva, non ero riuscita a comprenderne la natura. Recentemente mi sono imbattuta in un suo brano live che mi ha totalmente ipnotizzata, ha una forza espressiva destabilizzante, ammiro molto la sua capacità di portare sul palco una verità vocale così tangibile. Il brano in questione è “Baby Birch”, tratto dal disco Have One On Me (2010).

Spazio alla fine per parlare di date dal vivo. Porti sui palchi questo disco? Quanti sarete? Cosa devono sapere le venue là fuori?

Nei live proporremo un’esperienza di ascolto tra l’acustico e l’elettronico, che cercherà di rievocare il suono sviluppato in studio, con il supporto del team Okum, con Nicholas Remondino alla batteria, Manuel Volpe ai synth e Matteo Rizzo che curerà il sonoro come fonico. Inoltre, nella set list dal vivo troveranno spazio anche brani inediti che saranno presenti in un futuro disco.