Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

TIM HECKER, Konoyo

C’è qualcosa di intimamente lacerante in quest’ultimo lavoro dell’artista canadese. Un senso di un contrasto che si dispiega lungo le sette tracce del disco e che si sostanzia in una sorta di dialettica sonora il cui esito non è determinabile. È come se due forze non tanto opposte, quanto diverse in maniera radicale cercassero ora di annullarsi a vicenda, ora di compenetrarsi. Ed è curioso come il titolo scelto per questo disco sia proprio Konoyo, “questo mondo”, espressione giapponese usata in contrapposizione, ça va sans dire, a “l’altro mondo”. Non credo Hecker abbia voluto dare una significato “religioso” all’opera, ma è difficile ignorare la suggestione di aver a che fare con due mondi incomparabili eppure complementari, in un movimento di attrito constante. Hecker arrangia l’oretta scarsa di Konoyo in una continua orchestrazione di suoni che si ripetono, si frastagliano, si scompongono in un prisma e si agitano come uccellini in gabbia cercando di persistere mentre dal profondo emergono blocchi digitali, bordoni, colpi ostinati e ripetuti che inglobano il tutto per poi ritrarsi e ricominciare. Un alternarsi di elementi organici e digitali, di florilegi luminosi e tettonici bassi continui, di brillamenti sottotraccia e deragliamenti, di apparizioni di oasi cristalline spezzate da ottuse folate elettrostatiche. Un andamento complesso il cui esito a volte ha una carica estremamente emotiva. Quell’alternarsi di cui parlavamo non attiene alla “mera” architettura del disco, Hecker non sta solo descrivendo uno scontro, ci è dentro. Ci sono tutto il timore, la nostalgia, il senso di perdita, ma anche la curiosità, la voglia di vedere cosa c’è dall’altra parte, a fronte del processo di cambiamento a cui si sta assistendo, all’irrompere inevitabile di qualcosa di diverso nel proprio mondo, e ognuno può interpretare da sé cosa possa essere questo “altro” totalizzante. Coadiuvato dai Tokio Gakuso, un ensemble di gagaku (una forma di musica classica giapponese) di cui riprocessa i suoni live in maniera analoga a quanto fatto con i cori di Love Streams di due anni addietro, Hecker continua a rimestare tra digitale ed “organico”, confezionando un lavoro magari più introverso ma anche più sensibilmente urgente rispetto al passato.