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PITA / FRIEDL

Peter Rehberg, Pita, Mego, 1968. Reinhold Freidl, Zeitkratzer, 1964. Non si piacquero al primo impatto, scuole troppo differenti, ma si rispettarono da subito. Un incontro a Tokyo nel 1999, l’invito del secondo al primo all’Off-ICMC (International Computer Music Conference) nonostante i backgroud opposti. Poi, a Vienna, i due si innamorarono, suonando uno dopo l’altro e uscendo a cena per tre sere di fila. Era il 2010. Nel 2020 l’idea di una sessione presso lo studio Aichhorn a Vienna, i cui frutti Karlrecords pubblica dopo 3 anni e la scomparsa di Peter Rehberg. Caciara Chiasso Clamore, un sentore noise tutto italofono per un titolo che sembrerebbe di primo acchito rappresentare i risultati di questa unione. Elementi di pianoforte ed elettronica, scontri, lussazioni, sfrigolii e clangori, in una sorta di approccio largo ed accogliente al rumore, quasi che la Caciara, così colloquiale ed informale, serva soprattutto a far entrare il pubblico nell’operatività del duo. È una sorta di dolce trapanare, tremolante e continuo, quasi dei larghi scalini che ci portano all’interno del campo di esplorazione, Pita e Reinhold intenti a cavare strali di basse frequenze e risonanze frastagliate, piccole gocce di pianoforte in una tetra galleria del vento.

Nel secondo brano, “Chiasso”, quelle che sembrano essere vere e proprie percosse materiche fanno da apripista a una sorta di rumoreggiante sinfonia acustica, tarata però non sulla melodia ma sul deterioramento e su una sorta di accondiscendente sconquasso. La quasi totale assenza di toni acuti nelle evoluzioni della coppia ci riporta una impressione quasi minerale, calcarea dell’operato, come uno svuotamento ed un’erosione dovuta dal rifrangersi dei colpi, per concludersi poi con un finale cupo e stridente, quasi che lo scavo abbia risvegliato tormenti profondi.

Non cambiano le onde nemmeno con “Clamore”, anche se quelle che sembrano essere delle corde vengono toccate in opposizione a suoni che si fanno a tratti acidi, poi cheti e quasi orientaleggianti, con quello che sembra un triangolo che spunta in ogni dove, tra lo scalpiccio dei sistemi elettronici che si affastellano in grumi appiccicosi e piccole sfuriate digitali. Fino alla fine, dove spuntano una risata, uno scambio di battute, della reciproca soddisfazione. Loro e nostra.