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PETER BRÖTZMANN & MAÂLEM MOUKHTAR GANIA & HAMID DRAKE, The Catch Of A Ghost

Documento del concerto del 10 maggio 2019 al Centro di Ricerca Musicale Teatro San Leonardo di Bologna, questo disco vede l’instancabile Brötz (settantotto primavere, ma ancora l’irruenza spettinata di un monello) in trio con il suonatore di guembri (un incrocio tra un liuto e un basso per dare una vaga idea, sentitevi che meraviglie ne ricava uno come Bassekou Kouyate) e cantante Maâlem Moukhtar Gania, ultimo esponente di una dinastia di maestri Gnawa di Essaouira in Marocco (sede anche del celebre festival), ed il batterista Hamid Drake. Oltre settanta minuti di improvvisazione senza rete in cui sulla trance ritmica imbastita da Gania e Drake fioriscono le consuete scorbutiche esplosioni del tenore del panzer tedesco, a dire il vero in diversi frangenti meno torrenziale del solito, e forse è anche un bene. Chi scrive, va detto per onestà intellettuale, detiene un poco invidiabile record: a una edizione di qualche anno fa del glorioso All Frontiers di Gradisca d’Isonzo riuscii, in prima fila, ad addormentarmi durante un concerto di Brötzmann in duo con Keiji Haino. Il troppo frastuono, quando non sembra organizzato o almeno guidato da qualche idea se non il palla lunga e pedalare o al contrario non è abbastanza selvatico o trafitto da satori per le orecchie di chi ascolta, si tramuta in noia: così era accaduto in quell’incontro al vertice; a dirla tutta, Haino l’ho visto in un’altra occasione, con il supergruppo International Silence, a Reggio Emilia, e anche quella volta gli sbadigli furono parecchi (che due indizi facciano una prova?). Comunque qua di ultranoise manco l’ombra: siamo, invece, nel pieno di un benefico, antico rituale, trasportati dalle corde magiche e dalla voce ieratica di Gania e dal beat mobile ed inesorabile di Drake. Non sempre il galateo arruffato di Brötzmann si sposa nel migliore dei modi con queste architetture monumentali e lievissime, con queste sfingi di sabbia, ma l’incontro è comunque fertile. Una tessitura così solida e fitta avrebbe richiesto forse, per brillare ancora di più, un altro tipo di sassofonismo, più mobile armonicamente, più dinamico, ma Brötzmann questo fa, da una vita, e non possiamo non volergli bene, se non altro per la sua attitudine sempre battagliera. Chi era presen,te al concerto (il collega Aldo Gianolio me ne aveva detto a suo tempo meraviglie; personalmente, ascoltando il disco, apprezzo, ma senza brividi). In duo con Heather Leigh, una che con l’uomo di Machine Gun (il suo capolavoro, il grind prima del grind) sulla carta avrebbe davvero poco da spartire, la musica si perdeva in posti strani per disegnare un altrove: qui a volte sembriamo prendere la rincorsa per volare o ad un passo dall’arrivo di demoni dell’ispirazione che ci portino finalmente da un’altra parte, ma per questo giro non decolliamo. Sempre preziosi comunque i dischi di Angelica, che torna in autunno, Covid-19 permettendo, con la nuova, trentesima edizione del festival, che doveva tenersi in primavera, con un programma come sempre divergente e luminoso.