Take a (second) chance on me: Paolo Messere

Sono entrato in contatto per la prima volta con Paolo Messere a inizio 2023 quando, in veste di discografico (sua infatti Seahorse Recordings, produttrice negli anni del progetto principe di paolo, Blessed Child Opera, così come di Maisie, Tv Lumière, Marlowe, Ophiuco, Sofsky) mi permise di approcciare il lavoro di Paolino Canzoneri (del cui L’Ultima Volta Di Ogni Cosa per Shimmering Moods). Poi è arrivato il primo disco dei The Big Self, che ritornano ora con The Second Chance, motivo per il quale provo a svelare insieme a Paolo cosa si nasconda dietro a questo progetto. L’appuntamento è fissato giusto un paio di giorni prima della partenza per un tour europeo nel versante orientale, con una decina di date fra Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia. Ovviamente nella conversazione entrano tutti i lati di Paolo, con i diversi progetti che lo hanno visto e lo vedranno con le mani in pasta, ma andiamo con ordine.

Buonasera Paolo! The Big Self è un gruppo?

Paolo Messere: No, è un progetto personale in cui suona Matteo Anelli, con il quale riformeremo Blessed Child Opera a settembre, per l’uscita di un nuovo disco.

Quindi è un tuo progetto?

È un progetto mio che viene proposto come duo in sede live, sì.

Invece Blessed Child Opera? In che periodo siete stati attivi?

Dal 2000 al 2018, con delle formazioni che sono cambiate nel tempo. In alcuni dischi la formazione era abbastanza coesa (dal 2005 al 2008 ho avuto una band fissa con cui ho registrato due album: Happy Ark e Soldiers And Faith), mentre dal 2011 ad oggi all’incirca Matteo a fasi alterne è sempre presente accanto a me nella band.

A livello di composizione, immaginario e ottica produttiva come ti muovi tra i diversi progetti che ti vedono attivo, quindi The Big Self, Blessed Child Opera ed Ostara’s Bless?

Blessed Child Opera è un progetto di base più orientato verso il rock, con una forma da band in trio o quattro persone. Una band rock che lavora anche in studio con suoni rock, batterie, chitarre che a volte possono essere acustiche, tutto molto meno sintetico rispetto a The Big Self che invece è un progetto che parte da campionamenti di musica elettronica ma a volte può prendere vita dalla scrittura di una canzone sviluppata poi attraverso l’elettronica. Ostara’s Bless infine è un progetto più particolare perché parte da campioni di varia natura, non solo elettronica ma anche mediorientale, con un’indagine ed approfondimenti su questa specifica natura e quindi un immaginario che può cambiare per l’uso particolare dei suoni che utilizziamo. Ovviamente ci sono delle cose in comune, principalmente la mia presenza e i miei metodi, ma ci sono grosse differenze fra i progetti.

Il disco dei The Big Self è uscito il 31 maggio mentre dal 1° giugno sarete già in tour, è corretto? È un tour figlio del precedente disco o come vi siete organizzati?

Partiremo il 30 maggio qui dalla Sicilia e la prima data sarà in Slovacchia il primo giugno. Abbiamo trovato un buon management, un personaggio che si chiama Alex Kelman, che tra l’altro fa musica elettronica anche con elementi in comune rispetto ai The Big Self, anche se il nostro approccio è un po’ più complicato a livello strutturale e compositivo rispetto a una band che fa musica elettronica unendo, che ne so, unendo dancehall e shoegaze… noi facciamo altro!

Dancehall e shoegaze insieme è veramente spinta, non sarei arrivato a tanto!

Elementi wave a cose ballabili diciamo, forse ti facilito un po’ così l’immagine.

Prima di chiamarti mi sono riletto quanto scritto per il tuo disco precedente, oltre ad aver ascoltato il nuovo album, per avere dei parametri stilistici fra un disco e l’altro. Lo trovo un disco di mezza età, maturo, di musica fruibile e stilosa fatto da qualcuno con un percorso e con un’esperienza. Anche i riferimenti stilistici che ho colto sono uomini fra i cinquanta e settanta che hanno cavalcato la wildside. Non è un disco giovane ma che dimostra come anche arrivati alla maturità si possa muovere il culo con cognizione di causa senza essere ridicoli.

Grazie mille! Quando faccio i dischi non sto molto a pensare dove voglio arrivare a livello stilistico. Arriva la fine del disco e ne traggo delle conclusioni che sono abbastanza coerenti con l’idea del tempo che stai vivendo, delle emozioni che stai vivendo. Della fase di vita che coincide, esattamente come hai detto tu con un giudizio molto oculato, al disco di mezza età. Questo perchè secondo me è esattamente il risultato che, anche leggendo i testi, mi rappresenta. Mi rappresenta molto e mi fa piacere, perché sono un uomo di mezza età, anzi, mi avvio verso la vecchiaia.

Pensavo anche alla sua fruizione, considerando che suoni praticamente da trent’anni o giù di lì. Il tuo pubblico storico ti ha seguito in questo percorso o ti trovi persone diverse per i diversi progetti?

Sono più o meno trentacinque anni che suono, anche se in realtà ho iniziato molto tardi a fare dischi, circa a trent’anni. Ora ho cinquantasei anni ed avanzo. Diciamo che ci sono parecchi affezionati dai tempi dei Blessed Child Opera che hanno la pazienza di starmi dietro. Poi c’è anche gente nuova che capita e che rimane, diciamo, piacevolmente sorpresa, quasi a dire “ma chi è questo? Da dove viene?” come se non avesse mai sentito quello che ho fatto nel tempo addietro. Ma non è una critica, forse il fatto che sia stato così proficuo nel produrre ha fatto sì che io abbia anche deragliato l’attenzione della gente e che qualche volta io non abbia curato peculiarmente la promozione di certi dischi perché per me erano, diciamo, esercizi di crescita personale piuttosto che una ricerca di seguito. Non ho bisogno di nulla, ovviamente mi fa piacere che suonando qualcuno mi segua ma alla fine ho mal sopportato, soprattutto negli anni 2000, questa enfasi che c’era sui Blessed Child Opera, che venivano dipinti come una di quelle band che doveva avere successo, che per forza bisognava arrivare a quel successo internazionale (che poi non è arrivato, anche per vicissitudini personali e cose mie). Mi sono allargato nel discorso ma è un po’ la spiegazione di questa fan base e del mio funzionamento.

Credo possa essere anche più intrigante per una persona scoprirvi sul momento per un brano, magari ascoltato in radio od in qualche podcast, godendosi il presente…

Infatti, infatti questo per me è sempre una cosa molto piacevole. Ripeto, sono in una fase nella quale non sto molto attento agli aspetti promozionali (cosa non proprio fantastica da un lato) però, ti dico sinceramente, sto raggruppando le energie per il nuovo disco dei Blessed Child Opera che sarà un ritorno dal quale mi aspetto qualcosa veramente. The Big Self è come dire sto con una donna, la frequento e prendo quello che viene, quello che mi arriva. Questo mi rende anche molto più libero di pigliare con Matteo e farci una tournée senza troppe aspettative.

Il fatto (giustamente tu metti l’accento sulla promozione) di dover organizzare tutto quello che sta intorno alla musica, visto che oltre che musicista e compositore sei anche il discografico dei The Big Self (e dei Blessed Child Opera) non ti crea qualche difficoltà? Non ti viene mai voglia di fare semplicemente un disco lasciando ad altri il resto della trafila?

In effetti sono anche il discografico di me stesso, esattamente dalla nascita dei Blessed Child Opera e del loro disco d’esordio, prodotto da Amaury Cambuzat, che uscì su Seahorse Recordings come seconda promozione.

Ci ho pensato comunque, certo e trovo possa essere una soluzione qualora il disco possa nascondere delle sorprese. Parto molto basso con questo progetto, non avendo voglia di immischiarmi troppo con il music business, quindi anche il rapporto con gli uffici stampa, le agenzie di booking per promuovere al meglio un disco. È nato semplicemente come necessità e continua come tale. Per i Blessed Child Opera invece il discorso sarà molto diverso. Partiamo con delle aspettative molto più alte. Con questo non voglio dire che The Big Self sia un esperimento ma, diciamo che vorrei che Blessed Child Opera riesca ad uscire con un disco che rimanesse, diciamo, negli annali delle pubblicazioni, ricordato per il valore che io gli do. Poi è chiaro che questo valore potrebbe non essere quello che gli altri gli riconosceranno ma mi vengono in mente tante cose delle quali non mi frega niente. È un disco al quale Matteo ed io ci siamo dedicati per un mese, anima e corpo in varie e diverse situazioni, partito a Marsala in questa casa con vista sulle isole Egadi con dei tramonti bellissimi. Ci siamo visti là in un periodo molto molto tosto delle nostre vite, ad un limite estremissimo, ed abbiamo iniziato a scrivere dei pezzi nuovi. Matteo ed io non avevamo mai fatto dei pezzi insieme, se non un paio, ma abbiamo deciso in questa situazione di fare un disco nuovo che fosse nostro. Lo abbiamo realizzato e finito l’anno scoro: il problema è che questo disco doveva uscire come Ostara’s Bless, poi ad un certo punto quest’anno mi sono accorto di come fosse in realtà un disco dei Blessed Child Opera, suonato così.

Quindi c’è stato un vero cambio di rotta sul progetto?

Calcolando che ci sono anche altri due dischi degli Ostara’s Bless che sono incredibilmente messi da parte. Scritti nel periodo del covid e che sono altrettanto ispiratissimi ed emotivissimi, che non so come e quando fare uscire… comunque, questa è un po’ la situazione.

The Big Self verrà stampato? E Blessed Child Opera?

The Big Self non verrà stampato mentre Blessed Child Opera uscirà su vinile.

Cosa vi fa propendere per una scelta o per l’altra?

Mi è statto anche criticato questo aspetto della musica liquida, da parte di alcuni redattori. Criticato dicendomi che determinati media non accettavano musica digitale, trattandola come se fosse un deterrente, visto che volevano le copie fisiche dei lavori. Io difficilmente mi incazzo con le persone ma in questo caso ho risposto chiedendo loro il perché di questa chiusura, considerando come fossero media che per anni avevano recensito mie produzioni ed uscite, e la risposta è stata che bisogna rilanciare gli investimenti nella musica, nella stampa ed in tutto quello che c’è da fare. Ok, va bene, ma nel nostro caso abbiamo deciso di fare altro, ascolta la musica e decidi, no? Nulla.

Non capisco questa chiusura rispetto al supporto digitale e non capisco come questa scelta possa influire sul fare o meno un articolo od una recensione…

È un fatto politico, cercano di mandare avanti questa politica facendola passare come combattimento o recupero, cosa che non sarebbe nemmeno male se fosse più coerente con quella che è la buona musica. Non è perche tu fai musica digitale fai musica di merda. Hai delle esigenze e scegli di non stampare e di non investire sulla stampa. Ma conoscendo l’artista ed avendolo seguito negli anni dovresti comunque seguire gli artisti che ritieni validi, altrimenti non stai né sostenendo, né seguendo criticamente un artista, ma sei alla semplice ricerca di un supporto da mettere nel tuo mobile. È una cazzata.

A mio parere, parlando come critico e produttore, pensare di inviare 80 copie promozionali di un disco fisico a dei media che per il 50% ne scriveranno, nel 50% dei casi copieranno la metà del comunicato stampa incluso, butterei 50 copie nel pattume fondamentalmente, con un mercato che non viene smosso dalle recensioni.

Non c’è un collegamento fra le due cose, non più. Intendo la portata di una promozione rispetto alle vendite, sapendo che le vendite avvengono soprattutto dal vivo e non attraverso i negozi digitali e fisici. È inutile nascondersi, a meno che tu non abbia un bacino d’utenza incredibile essendo un grande nome nella musica italiana. Noi dobbiamo centellinare ogni cosa, ma questo non vuol dire che non vogliamo investire, ma credo abbia senso investire in un progetto che vediamo come finito quando stampato.

In questo caso il fatto di essere sia produttore che musicista ti da pieno potere su questa cosa. Rispetto però alla stampa mi sempra svilente sentirsi rispondere in questo modo.

Mi fa perdere la testa, mi fa perdere la voglia di far arrivare le cose mie alle persone in Italia. È arrivato quasi un rifiuto, una situazione nella quale mi domando a cosa mi serva tutto ciò. Contatto le persone che mi manifestano e che mi hanno sempre manifestato interesse ed entusiaste e va bene così. Con i Blessed Child Opera già so che dovrò scegliere un ufficio stampa di un certo livello e qui arrivano i problemi, perché non saprei proprio a chi rivolgermi. Abbiamo provato anche molto timidamente a mandare il disco a qualche etichetta straniera, vedremo che succederà.

Nell’ottica dei Blessed Child Opera la strategia potrebbe essere quella di lavorare su una base italiana od europea?

Sia europea che italiana, in maniera distinta, non con un ufficio stampa italiano con dei contatti esteri, perché ho già provato queste strategie varie volte e non da risultati soddisfacenti. L’ufficio stampa per avere un senso deve essere forte.

Culturalmente sono cresciuto nell’ottica che l’etichetta discografica dovrebbe garantire tutto, cercando di aver bisogno del minor sostegno esterno possibile ma mi rendo conto che nessuno ha 18 ore al giorno da dedicare ad un’etichetta, nel tuo caso poi aggiungendo le ore da musicista a quelle da discografico.

Esattamente, le energie comunque vanno centellinate.

Parlando di estero, con Blessed Child Opera storicamente che tipo di riscontro avete avuto rispetto al progetto artistico?

Io sono stato negli States con un tour nel 2015, insieme a Matteo e a Carlo Natoli. In trio facemmo all’incirca una ventina di date con risultati alterni ed un seguito, sempre considerando che eravamo una band misconosciuta in America, sempre al di sopra delle nostre aspettative, guadagnando anche qualche concerto come gruppo principale, considerando che non ci aspettavamo nulla di tutto questo. Ed invece interessamenti, firmacopie, cose così. Sempre nel medesimo periodo, suppergiù il 2015, anche la stampa estera pompava… che argomenti altisonanti il disco in essere, masterpiece, masterpiece (The Devil And The Ghosts Dissolved)! Però poi la mia vita è stata troppo incasinata, facevo i dischi, succedeva qualche cosa e c’era sempre una deviazione del percorso in altre situazioni, un po’ come un equilibrista, con la pazienza ed il tempo per fare i dischi e e mai la costanza per arrivarne fino in fondo. Per arrivare fino in fondo intendo spremere un disco come fanno tante persone e gruppi che conosco che riesco a spremerne il succo anche quando è diventato vecchio ed è palloso andarlo a suonare. C’è gente che ci riesce, tanto di cappello e di rispetto. Io invece ho sempre la risorsa secondaria, il disco successivo da costruire…

Questo non può essere dovuto anche dal doppio ruolo? Essendo musicista, compositore e produttore fondamentalmente quando chiudi un disco puoi stamparlo e averlo in tre mesi. Non è un’arma a doppio taglio in questo senso?

Sicuro! È sicuramente un’arma a doppio taglio ed è anche un segno di immaturità e da questo punto di vista, della gestione produttiva di un progetto e nei miei rapporti con la stampa mi accorgo di essere immaturo. Il mondo interno è ok, sempre molto in linea con le mie energie e con il mio stato d’animo mentre il rapporto con l’esterno è sbilanciato, perché non segue regole, itinerari che a volte sono dovuti. Ad esempio come produttore, ai gruppi che lavorano con me, consiglio proprio l’opposto: l’essere moderati in queste cose, non farsi prendere dalla smania.

Quindi esiste una parte saggia di Paolo Messere?

Certo! Come produttore poi sono un rompipalle spettacolare. Tu lo sai, gente come i Marlowe, molta gente con la quale ho collaborato, entrava in studio distrutta e devastata e dopo un disco con me erano diventati dritti, a far le loro cose. Per gli altri sono molto ligio, mentre sulle mie cose sono molto ribelle.

Ora cambiamo a bomba, tornando su The Big Self e su The Second Chance. Da musicista ed ascoltatore attivo da decenni quando componi ed inizi a sentire aria di disco come funzioni? Ci sono dei riferimenti che ti fanno dire “questo è materiale per Blessed Child Opera o The Big Self?” oppure hai un panorama sonoro che ti aiuta a creare un ambiente per il disco?

Questo è molto complicato non essendoci regole! Ci sono delle scie, ci sono delle scie, delle fasi in cui mi concentro su determinati suoni, li sperimento e li riconduco a me stesso. Sono suoni che possono rappresentarmi, questo è il percorso. Non decido se un brano sia valido per un progetto o l’altro. Ci sono fasi nelle quali compongo moltissimo, anche due o tre pezzi puliti al giorno, essendo ispirato. Queste fasi possono durare un mese o due mesi e quindi anche la prolificità della produzione è notevole. Lì c’è un po’ di imbarazzo perche ci sono scelte e tagli da fare, per poterne ricavare un disco, che è sempre un segnale, una fotografia di una determinata fase della mia vita. In cui ho vissuto delle cose. Tutti i dischi finora pubblicati rappresentano una fase particolare in cui ho vissuto delle cose. Se ora ci metto l’elettronica e domani ci metterò un’acustica od un’elettrica, oppure invito un qualsiasi personaggio nel mio disco è perché in quel momento quello serve e di conseguenza questoa è la spiegazione, o per lo meno un tentativo di spiegazione razionale a un percorso che razionale non è.

Stavo ripercorrendo i nostri scambi epistolari e mi dicevi che stavate per iniziare a registrare il disco ad agosto o comunque verso la fine dell’estate, è corretto? A quando risaliva però il materiale che è poi finito in The Second Chance?

Rispetto a The Second Chance il disco è stato composto a cicli, dettati dai cambiamenti di casa. Nella precedente abitazione ci abbiamo lavorato per tutta la primavera, anche su materiale precedente al primo disco, sul quale abbiamo rimesso le mani e scelto. The Big Self è un progetto nato da un paio d’anni, post-covid e post Blessed Child Opera, che per me allora era finito. Questa sperimentazione nella musica più mediorientale e sinfonica come Ostara’s Bless mi era rimasta nel cuore, ma avevo bisogno di dare spazio a qualcosa che rappresentasse per me il presente, una lettura di un periodo odierno e dei suoi cambiamenti, sociali, politici ed ambientali che credo si sentano dentro The Big Self, nella denuncia, nelle relazioni, nel rapporto individuo e società con tutte le sue conseguenze. Ostara’s Bless invece era più un sogno, un allontanarsi dalla realtà avvicinandosi al mondo onirico e sognante. Qui si rientra alla realtà, alle cose che accadono dentro e fuori di me.

A livello pratico come si sono svolte le registrazioni? Chi hai coinvolto?

Il materiale è stato registrato e mixato da me, tutto da solo senza interventi esterni tranne una voce femminile di una cantante, Rihab Mejri, un’amica africana che abita a Cipro che avrebbe voluto partecipare al progetto ma è stata impossibilitata se non per questo intervento, se ben mi ricordo nel secondo brano. Per quanto riguarda Blessed Child Opera invece è una band a tutti gli effetti fra me e Matteo, che oltre alla batteria ha avuto voce su tutte le decisioni da prendere.

I meccanismi che ho rodato negli anni mi hanno permesso di arrivare al risultato che avevo nella mia testa senza troppi problemi, sono diventato più esperto con le macchine diminuendo tempi, fatica ed energia mantenendo tutto il piacere senza avere lo stress che di norma queste situazioni possono serbare e di questo sono veramente contentissimo.

È una soddisfazione che si sente tutta nella musica, è un disco nel quale traspare il piacere del suonarlo.

Adoro il fatto di riuscire a trasmettere questa sensazione!

Spero di riuscire a vedervi anche dal vivo, purtroppo non riuscirò a seguirvi all’Est ma spero in una vostra salita al Nord! Siamo alla fine, se vuoi aggiungere qualcosa il campo è tuo.

Al Nord per ora avremo una data forse l’11 o il 12 giugno ma ancora non abbiamo confermato la location. Aggiungere qualcosa? Sono stato molto contento di essere stato qui a parlare con te e di tutta la situazione.