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NETHERWORLD, Vanishing Lands

È una vita (sprecata, lo so) che pubblicizzo Alessandro Tedeschi e il suo lavoro con/per Glacial Movements. Anche in questo caso do per scontato che si sappia che mi trovo in una nicchia a scrivere di una nicchia dentro a un’altra nicchia.

Netherworld è da sempre influenzato dall’isolazionismo anni Novanta (Köner, Harris, Broadrick…): non è difficile intuirlo nemmeno stavolta, anche se c’è uno scarto, perché Vanishing Lands è un disco meno riduzionista, più popolato da suoni, sempre di origine diversa e processati in modi diversi (piano, violoncello, voci, synth e altre sorgenti meno riconoscibili), molto emotivo rispetto al passato, anche perché rileggendo il nome dell’etichetta e il titolo del disco si capisce subito il tema ecologico dell’album. Se dicessi che Netherworld ha assorbito, rendendoli suoi, Basinski e Caretaker, forse pensereste che sto facendo marchette agli amici in cambio di altre marchette, ma tranquilli: mai visto di persona Tedeschi, non mi deve far suonare dalle sue parti (ho parlato bene di un sacco di romani ultimamente, sono già a posto) e non deve recensire su qualche altra ‘zine le uscite in rigoroso formato super 8 della mia etichetta diy. I paragoni semplificano per dare un’idea generale di cosa sta succedendo. Mi veniva da scrivere che certi frangenti con voci lontane di donna mi hanno fatto pensare a Medea di Shinjuku Thief, ma già nessuno ascolta davvero Basinski e Caretaker, quindi non ha senso riesumare Darrin Verhagen.

Vanishing Lands è la colonna sonora di un mondo svuotato e morente, non c’è nulla di più attuale.