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THRONELESS, Cycles

I tre Throneless sono lenti, pesantissimi e una punta psichedelici, e stanno su Black Bow, l’etichetta dei Conan (con anche gli Slomatics). Sono il classico gruppo che mantiene le promesse, che uno ascolta perché sa già cosa vuole e a cosa va incontro, possibilmente a volumi spropositati come un loro live (sono già passati in Italia negli anni scorsi e valgono il prezzo del biglietto).

Tutto si gioca lungo quella linea sottile che separa l’essere ipnotici dall’essere solo stronzi e noiosi: da un lato devi possedere la forza di gravità di un buco nero ed essere flemmatico ma inesorabile come l’ultimo pianeta che gira intorno all’ultima stella, dall’altro devi cambiare un po’ il passo ogni tanto prima che la gente spenga lo stereo, e devi avere una sola buona idea, essere sicuro che sia quella giusta, non importa se è un riff diverso o magari un guizzo della sezione ritmica come in “Born In Vain” o l’inizio e la conclusione melodici di “Cycles”. Ti diranno che assomigli agli Yob o ad altri nel genere, ma tu hai scelto un culto, non la fiera dell’innovazione, ecco perché con “Senseless” vedi se puoi spingere le chitarre ancora più verso il basso, fino al nucleo ancora pulsante della Terra, e con “Oracle” vedi quanto puoi diventare enorme prima di far collassare lo studio di registrazione.

Godibili, niente di meno ma anche niente di più.