Tre dischi Room40: Curran, Samartzis + Vorfeld, Glim
Nelle stanze segrete di The New Noise, all’uscita di Even The Horizon Knows Its Bounds, primo brano del nuovo annunciato disco di Lawrence English, è iniziato il sondaggio su chi avrebbe voluto dedicargli ascolto, attenzione ed analisi. Ho preferito lasciare il piacere a Luca Giuoco, tenendo per me un excursus su qualcuna delle ultime produzioni dell’etichetta australiana, espressione e cifra stilistica di Lawrence stesso, macchina con un ritmo di produzione alquanto forsennato.
Impossibile non iniziare questa ronda dalla pubblicazione di due pezzi di Alvin Curran degli anni Settanta, all’interno di un disco titolato Archeology // Archeologia. Quasi 43 minuti complessivi nei quali si uniscono insetti, field recordings, il Bolero di Ravel e risciacqui fra bicchieri scossi e frequenze a corde. Siamo all’interno de “La Serra”, brano che viene preso in ostaggio da una fisarmonica, poi da suoni che sembrano veri e propri ululati alla luna. Dei veri e propri bordoni escono poi fungendo da tappeto per toni acuti processati, guidandoci alla porta della serra. Il secondo movimento, “Othello By Night”, si sviluppa sul vociare di barattoli sparsi e colpiti, cani che abbaiano e passi. Poi crescono acuti, fischi e frequenze, che riescono a dare un che di notturno ed inquieto agli spazi dove il suono rintocca. Lo scalpiccio dei passi e una musica che sembra oscillare come un pendolo, il passaggio di un treno e finalmente il vociare della pièce, inghiottito da suono cacofonico tra versi che si trasformano in urla babeliche e in un carillon suonato sulle macerie, fino a far morire il disco su un fruscio.
Dopo il magico Atmospheres And Disturbance dello scorso anno torniamo a veicolare i suoni di Philip Samartzis, qui in compagnia di Michael Vorfeld in Air Pressure, ancora una volta alle prese con un suono direttamente connesso a luoghi ostili. Nel 2010 e nel 2016, infatti, grazie all’Australian Antarctic Territory Arts Fellowship program, Samartzis ha potuto operare nel Polo Sud recuperando registrazioni che sono state la fonte di questo lavoro. Paesaggi sonori materici e umide sferzati dagli elementi, costruzioni drammatiche quasi neo classiciste o post-rock, tanto che a tratti ci si immagina i Rachel’s congelati nei ghiacci. Vorfeld alle corde autocostruite e Samartzis alle percussioni ci fanno viaggiare e rabbrividire, con tre brani nei quali tutto si percepisce fuorché la presenza umana. Siamo lontani anni luce dalla new age, il sentore che percepiamo mentre gira questo disco è il medesimo che proviamo fissando lo scheletro della Stazione Wilkes in copertina. Alzare il volume e ascoltare in silenzio.
Andreas Berger, Glim, è un musicista che dalla sua base viennese apprezza e lavora con uno dei materiali sonori più fascinosi: le care e vecchie audiocassette. Le utilizza per registrarne suoni che vengono in parte modificati e in parte rimangono a imperitura memoria come polaroid. Pezzi di queste registrazioni vengono poi montati in una suite suddivisa in 8 episodi, che riesce ad evocare il materiale di partenza come fosse ormai disperso nella nebbia e visibile solo in lontananza e con una certa luce. Il nastro, tape, è il protagonista del viaggio, ma soltanto Andreas saprebbe raccontarci on esattezza che cosa abbia passato e come sia arrivato a noi. È un gioco che ci amplia i sensi e il senso perdendo di significato. È un gioco, certo, che ha bisogno di un supporto teorico e di una forte contestualizzazione per essere vissuto appieno, credo, come nei desideri dell’artista viennese, ma che mantiene altrettanta suggestione anche se fruito liberamente, funzionando come puro momentuum, note e frequenze come particelle ed atomi in movimento, nebbia che ci parla. Ci immaginiamo di come la costruzione stessa di questo disco possa essere stata una sorpresa per Glim, ritrovatosi con modifiche e deterioramenti che non potendo attaccarsi su un corpo melodico ma unicamente su lunghi bordoni aerei, raccoglievano un suono universale e neutro, che si colorava via via di emozioni e toni differenti, fornendoci le ipotetiche immagini che avrebbe potuto musicare. Ma è tutto finto, è tutto un costrutto mentale e Glim ci sta guidando con mano sicura nel territorio dell’incerto e della suggestione, dal quale usciremo storditi e soddisfatti.
Ovviamente questo è solo uno spunto, un’ulteriore apertura di una porta sulla stanza numero 40, foriera di meraviglie sonore, sicurezza grafica e stilistica e certezza sulla quale torneremo presto (ho già avvistato l’ultimo J WLSN, non mi fate parlare!)…