SOAP&SKIN, Torso

Gli album di cover sono, notoriamente, i lavori dove più spesso ci si svela al mondo attraverso brani importanti, inarrivabili, cercando di farli propri. Anja Franziska Plaschg nasce nel 1990 e cresce a Gnas, nel sud dell’Austria, un paese di quasi seimila persone, con un campo da paintball e la statua di una Madonna dorata, la Mariensäule del 1678. Nel 2004 inizia a studiare il violino e ad aprirsi al mondo musicale, così che debutta, diciannovenne, con uno dei dischi più belli degli ultimi anni, Lovetune For Vacuum, di un’intensità clamorosa, nel quale – scrivendo, producendo, arrangiando – trasforma i suoi fantasmi in note. Da allora, per quindici anni, a scadenza irregolare, torna. Nel 2012 orna Narrow con uno dei brani più intensi in una delle lingue più torve e dure, il tedesco di “Vater”, che atterra e fa il vuoto. Passano altri sei anni per il disco successivo, che la mostra in una condizione quasi di mutazione, di partenza, la terra vista dall’alto come l’immagine di copertina e la chiusura con la ripresa di “What a Wonderful World”, resa celebre da Louis Armstrong, a chiudere un periodo oscuro. Nel 2019 ho la fortuna di assistere a un suo splendido live alla Santeria di Milano (sempre grazie a Teo Segale) insieme alla mia compagna Jessica ed è un momento del quale quasi nulla serbo in maniera conscia, ma internamente ricordo energia, luce e catarsi. Nel 2022 il Donau Festival la invita ad esibirsi con le cover che negli anni ha disseminato su dischi e nei live, ed oggi siamo qui a parlare di Torso, Oberkörper, fascia fisica che risulta nuda e inutile staccata dagli arti e dal collo, il cuore ammenicolo inutile a spruzzare fendenti ematici.

La voce di Soap&Skin si appropria di armonie, melodie e ganci facendo suoi 12 brani di altri, entrando di diritto nella mia personale piazza d’onore di questi lavori, accostandosi a quel gioiello che 24 anni fa vergarono i The Walkabouts con Train Leaves at Eight. C’è molto cinema nel movimento di Soap&Skin (ambito nel quale ha debuttato quest’anno in “Des Teufels Bad” di Veronika Franz e Severin Fiala, storia rurale e terribile nell’Austria del 1750), dalla “Mysteries Of Love” di Sufjan Stevens per Luca Guadagnino alla “God Yu Tekkem Laef Blong Mi” per “La sottile linea rossa” di Terence Malick. C’è, soprattutto, la capacità di rinchiudere dei brani in una cantina buia e liberarli dai loro liquidi, da sudori e lacrime, come una “Born To Lose” che onora in gloria una delle voci più belle dell’ultimo secolo come Shirley Bassey. Chiude gli dei e i mostri di Lana Del Rey in un labirinto di specchi, mischiando i narcotici del prozac pop in sindoni rarefatte. È strano ascoltare Anja cantare questi brani, in alcuni casi, come questo di Lana Del Rey oppure quello di “Maybe Not” di Cat Power: la si riesce quasi ad immaginare nel retro del proscenio, fantasma dell’opera che canta senza che nessuno possa renderle onore, intensità lanciata nel buio, tromba e piano in souplesse. Di Claudie Fritsch-Mentrop, della sua “Voyage Voyage” del 1987 e della resa di Soap&Skin sappiamo dal 2012, ma ogni volta che abbiamo il piacere di ascoltarla fa male tanto è bella. Mi rendo conto solo in corso d’opera di ascoltare questo disco finendo l’ultimo bicchiere di un liquore celebre di Benevento, Strega, nome che ha connotato una schiera di figure femminili forti, fuori dagli schemi e libere come la stessa Soap&Skin sarebbe stata caratterizzata, schiera mozzata dalla vile paura maschile e che dovrebbe essere fiera della propria capace libertà.

Il Tom Waits di “Johnsburg, Illinois” è reso in maniera commovente e calda, mentre il David Bowie di “Girl Loves Me” (tratta dal suo testamento Blackstar) è spedito in una montagna rieditata 2.0, fra suoni sintetici e proto-yodel che di certo avrebbe apprezzato. Janis pare sedere vicino al pianoforte di Soap&Skin in una toccante versione di “Stars”, con Nina Simone che dall’aldilà si strugge. “Pale Blue Eyes” suona emozionata, un beat che sembra moltissimo un cuore tremante a lanciarne la voce, vibrante e piena d’amore, tra Colonia, Gnas ed Ibiza. Solo ora riconosco come la bellezza algida di Soap&Skin sia stata baciata dall’appartenere ad un’area linguistica all’apparenza ostica ma in realtà espressiva e brutalmente precisa come il tedesco, creando meraviglie anche per questo ingrediente speciale.

Onesto? Leggendo “What’s Up” sulla tracklist speravo fortissimamente fosse il brano di Linda Perry e delle 4 Non Blondes. Non ne avevo idee né informazioni, perché la cartella stampa si spendeva soltanto per alcuni brani. Avevo 14 anni allora e adoravo letteralmente questa canzone che oggi viene trasformata con cigolii sintetici ed un’aura che tutto abbraccia, come una Madonna dorata in mezzo a una piazza. Il tutto termina con uno dei pezzi che più detesto da sempre, di uno dei cantanti che più detesto da sempre per uno dei progetti che più detesto da sempre. E suona ovviamente bellissimo (è “The End” dei Doors). No words.

Registrazione a Vienna, con un ensemble musicale da lei diretto, per un’altra ora di magia da classificare sotto sapone e pelle.

Si può dire grazie terminando di ascoltare un disco? Danke.