Glacial Movements, il nostro underground che funziona
Le interviste possono essere pensate per il presente, un’attualità sempre più convulsa che si prova a fermare per un istante nel caso dei progetti più intriganti, ma ogni tanto bisogna andare a tastare il polso di chi instancabilmente continua nel tempo a promuovere le sue azioni. Considerate le splendide uscite di Glacial Movements degli ultimi tempi, torniamo su Alessandro Tedeschi e la sua visione musicale dopo 12 anni. Entusiasta come pochi, ci sentiamo telefonicamente per una conversazione che prende subito il volo, fra aneddotica e visione lucida.
Quando sei partito di preciso con Glacial Movements, Alessandro?
Alessandro Tedeschi: Eeeh, mo’ nel 2026 faranno vent’anni! Era il 2006. Netherworld, il mio progetto, era partito due anni prima, nel 2004. Diciamo però che i miei inizi stanno un po’ più indietro nel tempo, sono entrato nel mondo della musica elettronica a 13 anni, praticamente negli anni Novanta Roma era il centro della musica techno mondiale, con Lory D, Andrea Benedetti (un amico, al quale ho prodotto un disco a nome Frame insieme ad Eugenio Vatta, “The Journey”), Marco Passarani, Leo Anibaldi. Ho iniziato lì, con i rave illegali e come dj di musica techno, hardcore e gabber. Occupavamo spazi privati, fabbriche abbandonate, montando gli impianti e suonando tutta la notte, erano gli anni d’oro! La techno dei Novanta era tosta e gajarda, fatta in un certo modo. Quella attuale non mi interessa.
Immagino come fossero altri tempi, partendo dal basso con i grandi classici nomi romani.
Sì, sì, eravamo amici tutti, essendo piccolino poi mettevo in croce mio padre che mi accompagnava ovunque. Suonavo con un amico e avevamo tutto l’armamentario Roland, la 909, la 808, la 303, i campionatori, i multi-effetti. Suonavamo proprio hardcore e mio padre ci accompagnava, portandomi anche negli studi di Andrea Benedetti, che mi regalava i dischi. Negli anni ci siamo sempre tenuti in contatto e una volta avviata l’etichetta un giorno lui mi propose appunto questo lavoro di materiali inediti con Eugenio che avevano usato per alcune sonorizzazioni. Avevano tenuto lì le registrazioni, le avevano rielaborate e alla fine uscì il disco. Quindi i miei esordi furono tutt’altro che ambient…
Beh, legittimo, considerando come sia passata una vita, il cambiamento è umano.
Certo! Guarda, io facevo anche il dj in un paio di radio qui a Roma dove proponevo musica gabber, minimo 180 bpm a salire in su, però mi piacciono gli estremi. Seguivo con molto interesse anche cose meno pesanti come Aphex Twin (specialmente SAWII) e di conseguenza mi sono avvicinato a sonorità più tranquille, tappeti sonori e cose così, finché un giorno ho scoperto la compilation della Virgin Records, Ambient 4: Isolationism, curata da Kevin Richard Martin, e da lì mi si è aperto proprio un mondo e fu l’inizio del percorso mio. Thomas Köner, Lull e così via…
Interessante sentirti collocare Aphex Twin nelle cose meno pesanti di un tempo, così da dettare subito la conversazione! Soprattutto il fatto che tu parti dalla gabber per arrivare alle cose ambient, validando quindi la dicotomia noise/ambient classica…
Sono sempre stato incontentabile, sempre alla ricerca del particolare, compravo pochissimi dischi a Roma. Mi rifornivo spesso da un negozietto a Genova conosciuto tramite la rivista Tunnel, fondata e curata da Andrea Benedetti. Lì si sponsorizzava questo negozio, Sinapsi, il cui proprietario, Fabrizio Usberti, aveva queste chicche assurde di techno hardcore che mi faceva ascoltare tramite telefono. Nonostante a Roma ci fosse Remix, un luogo leggendario come negozio di dischi, lui riusciva ad avere cose che io non trovavo. Con lui ho conosciuto Laurent Hô, che faceva delle cose pazzesche, tutto ciò che riguardava la PCP di The Mover aka Mark Arcadipane, la speedcore… facevo dei megaordini, calcolando che ero ancora piccolino e mio padre mi pagava i dischi!
Cosa non scontata un supporto del genere all’interno della famiglia, comunque…
I miei genitori si sono separati da quando avevo sei anni. Io non vivevo con mio padre, che aveva all’epoca un negozio di mobili sotto al quale mi ero creato il mio studio. Avevo la parte con mixer e piatti e la parte con synth e campionatori, e facevamo un bordello allucinante! Tutta la gente che abitava nei dintorni o che passava di lì (il negozio si trovava sulla Prenestina) quando accendevo l’impianto si domandava cosa stesse accadendo nei sotterranei! La stanza non era insonorizzata e suonando roba pesantissima, tutti chiedevano a mio padre del casino! Si erano creati dei raduni di persone molto carine, c’era un viavai di gente continuo, con mio padre che stava a lavorare nel piano superiore!
Prima citavi la compilation della Virgin. Quali sono stati oltre a quella i tuoi dischi di svolta, che ti hanno guidato per diventare Glacial Movements?
Hai tempo? Potrebbe essere lunga la storia… qui devo parlare soprattutto di Gianluigi Gasparetti aka Oöphoi, una figura chiave ed un amico, purtroppo scomparso. Gli ho voluto veramente bene. Ma prima torniamo alla compilation, della quale ero gelosissimo: me la sentivo la notte, mi aveva proprio rapito, tutti i pezzi, Paul Schütze, Zoviet:France, Seefeel, anche Techno Animal, Justin Broadrick, Lull. Il problema fu che un giorno, all’uscita della scuola serale (lavoravo tutto il giorno e di sera andavo a scuola privata), trovai la mia macchina aperta. Mi avevano rubato lo stereo e con esso la compilation. Mi mancò la terra sotto ai piedi: dello stereo non me ne importava nulla, ma quella compilation era fondamentale. Mi misi subito alla sua ricerca riuscendo alla fine a ritrovarla: all’interno del libretto erano state riportate le discografie degli artisti coinvolti, e il mio obiettivo era quello di recuperare tutti questi album, considerando che non c’era Internet al tempo. Sono una persona che non si ferma e vado avanti per la mia strada come un treno, sia nella musica, nello sport, nella vita privata e così facendo, entrai in contatto con un negozio che si chiamava Star Shop in via Degli Scipioni a Roma (zona Prati). Il negozio era specializzato nella vendita di manga, giocattoli… però all’interno aveva anche un angolo dedicato alla vendita di album di musica ambient. Chiamo chiedendo una lista di titoli. Mauro Malgrande, ancora mio amico, mi rispose dicendo di avere tutti i titoli che stavo cercando. Fermate proprio, prendo la metro, non li vendere a nessuno che arrivo, gli dico. Aveva una vetrinetta dove oltre a tutte queste chicche introvabili, c’era anche una rivista, Deep Listening, la prima rivista ufficiale italiana a trattare di questo tipo di suono, fondata proprio da Gianluigi Gasparetti. Scoprii quindi la produzione di Öophoi e leggendo la rivista scoprii un mondo, gli articoli sugli strumenti elettronici curati da Enrico Cosimi, tematiche legate al popolo Tibetano ed ai Nativi Americani, interviste ad artisti emergenti e anche a quelli più noti. Su Deep Listening scrivevano giornalisti che possiamo ritrovare oggi su Blow Up e Rumore, quindi fu una bella palestra per tutti (scrissi anche io alcune recensioni per gli ultimi due numeri della rivista). Parlando al telefono scoprii poi che Gianluigi aveva un casale in Umbria dove organizzava sleep concerts ai quali parteciparono artisti tipo Steve Roach, Robert Rich, Klaus Wiese, Vidna Obmana e molti altri. Purtroppo non vissi questa fase; arrivai troppo tardi. Partecipai ad alcuni concerti al buio di Oöphoi stesso, e vissi la parte finale della rivista e dell’attività come musicista del mio amico. Mi aveva preso come una specie di figlioccio, andavo spesso a casa sua e a volte mi fermavo anche a dormire. C’era anche sua moglie Alessandra e molti gatti e cani. In questo casale aveva ristrutturato la stalla trasformandola in stanza del suono, il Kiva. Tappeti, divani, oggetti antichi sulle pareti e si suonava, si ascoltavano i dischi attraverso un impianto di altissima qualità. Io poi sono sempre stato appassionato di esoterismo e misteri, argomenti borderline, e Gianluigi aveva un’ampia biblioteca di libri sull’ alchimia, esoterismo, cavalieri templari e mitologia… io già a 12 anni mi interessavo alla Blavatski, Atlantide, gli UFO, le Piramidi e quindi mi trovai alla grande con lui, e mi seppe indicare quali studi intraprendere per ottenere un tipo di percorso. Una sorta di autoiniziazione. Nella vita ho speso una valanga di soldi per libri e dischi che mi hanno portato fino a qui… a essere quello che sono. Nel Kiva mi venne anche la voglia di suonare musica ambient e fui consigliato da lui per l’acquisto dell’attrezzatura basic per iniziare a produrre e suonare. Così iniziai a divertirmi, era il periodo fra il 2001 ed il 2003. Nel 2004, leggendo un libro di Lovecraft, nella prefazione trovo citata la parola Netherworld, una specie di realtà parallela abitata da presenze immaginarie. La trovai un’idea molto simile a quello che volevo raccontare con il mio suono e mi battezzai così, tatuandomelo anche sulla mia spalla e braccio destro, così da avere bene in chiaro il mio progetto. Iniziai a comporre e Gianluigi in quel periodo aveva lanciato Umbra Records, una piccola etichetta che produceva edizioni limitate a 99 copie in cd-r. Mi invitò a partecipare ad una raccolta di artisti italiani il cui titolo era “World Of Shadow”. Questo fu il mio esordio con il brano “Nocte Sublustri”. Nonostante stavo co’ na scarpa e na ciavatta (come si dice qui a Roma) il brano fu apprezzato parecchio e mi propose quindi di pensare a un disco intero, che fu Hermetic Thoughts, sempre in edizione limitata, che però era rivolto ad un pubblico di iniziati. Poi cominciai con una direzione “algida”, Eternal Frost, il primo lavoro che feci pensando al ghiaccio in assoluto. Successivamente ebbi la fortuna di conoscere i ragazzi di Post-Romantic Empire (Giulio e Fabrizio), un’associazione romana, e mi invitarono a suonare dal vivo al Supper Club, un posto bellissimo dove suonai con Apparat, che ai tempi non sapevo chi fosse… Durante il mio live Apparat sale da me dicendomi che ero completamente pazzo! C’era tantissima gente, e quello fu il mio battesimo live.
Bisogna dire che Glacial Movements si muove in due ambiti: quello discografico, che ormai amministro da quasi 20 anni, e quello più filosofico e passionale, che è quello chi riguarda me sostanzialmente. Da quando ho memoria sono sempre stato attirato dall’isolazionismo, dal ghiaccio e dalla natura incontaminata. Anche in questo aspetto mio padre ci ha messo lo zampino, ricordo le montagne abruzzesi con la neve, dove mi portava spesso la domenica, o le passeggiate con i pranzi al ristorante, amavo quegli ambienti ovattati, quel silenzio e quell’immaginario, così come ricordi legati a lui. Scusami, mi sto un po’ commuovendo ripensando a quei momenti.
Beh, è legittimo ed in effetti ora il collegamento è più chiaro, anche perché Roma, invece, fa pensare alla calca, alla confusione e alla gente…
Ho avuto un’adolescenza abbastanza turbolenta ma anche la necessità di trovarmi uno spazio mio interiore dove non potesse interferire nessuno e quindi la natura mi dava questo tipo di possibilità, anche questa musica me l’ha data e me la dà tutt’ora. Ora ti sto parlando dal parco vicino casa mia, al buio. C’è qualche albero e ho quindi preferito chiacchierare così… quindi il fatto di avere questo amore è quasi innato. Ho fatto sport anche piuttosto estremi fra mountain-bike, trekking in montagna, oppure tante volte andavo di notte da solo in montagna partendo da solo, portandomi dischi dark-ambient da ascoltare, Lustmord e via dicendo, camminando solo nei boschi di notte! In genere sono attratto dall’oscurità, questo tipo di sensazioni e di paesaggi, non disdegno la luce ma la mia attrazione è per questo tipo di mondo. Con l’etichetta discografica ho voluto assecondare questa vocazione: mi ero stancato di mandare in giro demo alle altre etichette ed ho pensato di far tutto da solo. Per me è stata sempre importante la promozione, è tutt’ora uno degli aspetti per me più importanti. Contrariamente a Gianluigi che aveva già un circuito e che quindi non la curava, io volevo che le riviste dell’epoca parlassero di me, facendomi conoscere.
Mi sono deciso e ho pensato a Glacial Movements: glaciale perché freddo, in maniera da settarne subito il suono, movimento perché avevamo immaginato questa specie di mosaico nel quale ogni disco fungesse come parte del mosaico generale. Tutto di getto, così.
Ho creato con un amico un sito web e sono partito da una prima compilation, poi mai più ristampata, chiamata Cryosphere, invitando (già si capivano i miei standard abbastanza alti e le mie ambizioni) i Troum, i Lightwave, Aidan Baker e tutti gli altri. Closing The Eternity dalla Russia, i Tho-So-A, i Tuu che mi diedero il permesso di utilizzare un loro brano edito… e Northaunt! Stampai 300 copie in una confezione in cd-r ed in un attimo furono vendute tutte, contattai diversi giornalisti ricevendo tantissime recensioni e articoli capendo come quello fosse il mio mondo.
Produssi quindi il mio primo disco ufficiale Mørketid, stampando in 500 copie nel 2007 dopo alcuni viaggi in Norvegia dove registrai diverse cose, fra rumori naturali ed umani elaborati e modificati nel piccolo studio che avevo a casa. Fu un bel successo anche quello, usai parecchie copie per la promozione, perché allora ancora non esistevano le copie digitali, file interminabili alla posta ma fu una soddisfazione immensa per gli apprezzamenti della gente, i giornalisti che mi scrivevano. Finì dappertutto Mørketid, il mio primo vero grande successo, da là mi dissi di puntare in alto ed andai da Rapoon, uno dei nomi di punta allora. Rapoon mi fece un disco, Time Frost, del quale ricordo ancora l’ultimo brano, “Ice Whispers”, di più di mezz’ora, dedicato alla bellezza artica. All’epoca si vendeva bene rispetto ad ora, produssi 1000 copie e riuscimmo ad arrivare a Mick Harris, che per me era il top. Ovviamente avevo ed ho tutt’ora tutti i suoi dischi: non fu facile, perché Mick non è un personaggio semplice col quale lavorare. Però piano piano riuscii nel mio intento. Erano anni che non usciva con un disco a nome Lull e a un tratto scrivendomi mi chiese se mi piacesse di più Like A Slow River oppure Slow Like A River come titolo. Diedi la mia opinione e si convinse ad andare avanti così, dando il via a una collaborazione stupenda che raggiunse un’audience ancora più ampia. I rapporti con le radio, i giornalisti, i clienti e gli appassionati si ampliarono ancor di più.
Volevo che il suono fosse accompagnato dalle giuste immagini. Mi affidai a un fotografo norvegese con il quale poi avrei collaborato per anni: abitando nel circolo polare artico aveva uno stock di foto incredibili tra le quali sceglievo le giuste copertine insieme all’artista. Era un progetto in assoluta coerenza, il titolo, l’album, il concept, tutto era glaciale e non c’era spazio per altro. Sono stato molto selettivo in un ambito già di per sé di nicchia e questo mi ha giovato.
Parlando della clientela, tu come ti muovevi a livello di vendita, di reperibilità e di distribuzione?
Per la stampa per lo più mi affidavo ad una ditta di Pesaro (ora stampo i dischi in Polonia) e avevo una distribuzione, Kudos Distribution, con la quale partii quasi subito (era il distributore di Touch e Mego, per citarne un paio), puntando subito in alto. Iniziarono con i primi titoli, prendendo poi anche tutta la parte digitale, io poi contattavo i mailorder, i piccoli negozi cercandoli su internet. Salvavo i contatti dei clienti che ordinavano online creando delle newsletter, poi nel tempo le cose si sono consolidate. Al momento, da qualche anno in realtà, in Italia ho Audioglobe che prima non avevo, riuscendo a essere più capillare e robusto. Ho cercato anche negli Stati Uniti ma è difficilissimo, il migliore sarebbe Forced Exposure, coi quali ero quasi arrivato a dama, ma poi, non so per quale motivo, si troncarono i rapporti. Fino a un paio d’anni fa avevo anche un altro distributore che mi prese in consegna diversi titoli ma poi, viste le vendite che per loro non erano sufficienti si tirarono indietro. Poi ebbi un periodo con Darla Records ma alla fine la gente compra sempre meno, io ho tanti clienti che acquistano direttamente da là pur essendo negli Stati Uniti, sfruttando soprattutto Bandcamp.
È che comunque, lavorando anche parecchio col disco fisico come mi pare di intuire, le spese postali sono delle belle sassate per le spedizioni oltreoceano…
Infatti, terribili, ma dopo aver insistito non posso fare altro. Il catalogo lo vedono, posso presentarti l’etichetta e mandarti qualche promo ma se non scatta il business da parte del distributore ormai non posso far di più. Ti mando Loscil, ti mando Murcof, Paul Schütze, di più non potevo fare. Kudos va benissimo, ormai la stampa è andata indietro, si tirano 2-300 copie e non di più, ormai è così.
D’altra parte mi rendo conto però che, se un ascoltatore nostro coetaneo ascolta ed acquista musica da 20 anni, deve avere una casa enorme per tenere i propri dischi, il fisico ha questo grosso limite e non migliorerà la situazione. Lo spazio è nemico delle vendite…
Ma poi comunque esce talmente tanta roba che è proprio impossibile star dietro a tutto fra Bandcamp, i social, tutto quel che concerne a livello mediatico fra artisti ed etichette… è impossibile farcela. Anch’io non posso fare grandi acquisti per il tuo stesso problema, è raro mi capiti ma per lo più ascolto in digitale. Comunque, come ti dicevo, poi iniziarono a contattarmi molti artisti forse meno conosciuti, come Yair Elazar Glotman, che ha spesso collaborato con Jóhann Jóhannsson nelle sue musiche per film. Ricevo tantissime demo e proposte, diciamo che il nome gira nonostante gli anni passino. Sono costante e metodico, cambio raramente idea sulle cose e questo si è dimostrato un vantaggio, ho mantenuto le mie ottiche sul formato e lo stile e tutto va avanti.
In effetti se funziona, perché cambiare?
Poi il vinile costa il triplo che il cd, le spedizioni sono assurde, mentre il cd è un formato perfetto. Sono straconvinto che il vinile, per questo genere musicale, non vada proprio bene. Anche perché, parliamoci chiaro, la media di lunghezza di questi album è sui 50 minuti, dovresti farne un doppio, girare i lati, mentre questa musica va ascoltata in un flusso continuo. Ha ovviamente il suo fascino e lo capisco ma non va bene per questa musica, la qualità del cd per questo genere musicale è decisamente superiore. Se parliamo di fascino e di seguaci, il vinile non ha pari, ma sono sempre stato convinto della mia scelta.
A livello di scelta produttiva, invece, come ti poni? Se scopri qualcuno che ti intriga ti ci fiondi oppure hai dei progetti a medio lungo termine e ti ci attieni?
Guarda, io campo alla giornata per alcune cose, e cerco di pianificarle per altre, ma quando scopro il talento o comunque quando sento che c’è qualcosa io mi ci fiondo. È capitato a volte che mi abbiano contattato degli artisti, tipo recentemente Amphior, che è arrivato da me con il suo disco e mi ha fatto piangere dall’emozione. Ci sono artisti che hanno una scintilla che mi fa impazzire, anche Lia Bosch, tra l’altro la prima donna che abbia mai prodotto in quasi 20 anni di attività, inizialmente mi aveva proposto un demo che poi ho girato a Stefano Gentile di Silentes (e che infatti produrrà), facendo uscire prima il suo secondo album in sostanza. Era un disco che aveva già qualcosa di particolare, l’avevo ascoltato e ci eravamo scritti e sentiti. Le avevo detto che il disco mi era piaciuto, che però non era a tema glaciale e che se avesse voluto approfondire questo tema ne avremmo potuto riparlare. Lei si è messa subito all’opera incidendo poi Polar Code, che ho trovato pazzesco. Un disco che non ti dà punti di riferimento e che è differente da tutto quanto ho prodotto: non è isolazionista né distensivo, ti dà tensione ma una tensione bella, glaciale pure quella. Ho lavorato molto in promozione e il riscontro che abbiamo avuto è assurdo per un disco del genere, addirittura più di Murcof! Essendo un territorio prevalentemente maschile, il fatto che l’artista sia donna ha giocato a livello di curiosità ed il disco ha avuto la giusta attenzione, non so se questa cosa si possa dire o rischia di essere tacciata come maschilista…
Ti dirò, ultimamente ascolto un sacco di musiciste donne e trovo che spesso ci sia parecchia polpa in più, il tocco è diverso e si nota una sensibilità differente. Credo che sia comunque un cambio il collaborare con musicisti uomini o donne e quindi il vissuto è ovviamente diverso.
Il mio ambito è talmente stretto che non è facile trovare molte artiste donne. Già è difficile trovare qualcuno che possa fare il disco perfetto per me, ma le porte sono ovviamente aperte a tutte ed a tutti!
Spesso mi chiedo una cosa sulla musica ambient di un certo tipo. Credo che spesso ci siano una contestualizzazione o una storia a reggere il disco o la musica un po’ forzate, nel senso: leggo un comunicato che mi racconta la rava e la fava. Poi ascolto il disco e mi dico che se non avessi avuto questo tipo di comunicazione, spesso mi sarebbe rimasto poco. La musica, di base, non dovrebbe bastare a sé stessa?
Sono pienamente d’accordo! Certo, dovrebbe bastare a sé stessa, perché poi il comunicato stampa dovrebbe essere una cosa di contorno, giusto per darti due o tre coordinate, ma la sostanza è tutta nel suono.
Mi capita di ascoltare i dischi prima di leggere il comunicato stampa e questa cosa mi apre proprio delle altre ottiche.
Certamente! Poi puoi scrivere tutto quello che ti pare ma se manca la sostanza… comunque le etichette discografiche, ma anche gli uffici stampa cercano di fare un po’… di spingere determinate figure ma quello sta alla persona o al giornalista che ne parla, l’approfondire ed il cercare un senso all’opera. Io avrei anche dei nomi, delle persone che potrei citarti ma che forse è meglio di no, diciamo che trovo sopravvalutate, soprattutto al femminile. Io con Lia Bosch ho voluto dimostrare anche questo, perché secondo me molta stampa e molta critica hanno dato risalto a figure che non meritavano così tanta attenzione. Non perché qualcuno mi abbia fatto mai niente, ma avendo avuto così tanti ascolti fin da quando sono piccolo, dopo parecchi anni, pur non essendo portatore di verità musicali, credo di sapere di ciò che parlo, però ho sentito diverse cose che non stanno né in cielo né in terra descritte come non si sa che cosa…
Dipende, è chiaro che a volte parte l’hype per un musicista assolutamente a caso, quasi avessero deciso in maniera manichea per lui o per lei e dici: ha poco senso. È anche vero che poi alla fine è l’ascoltatore che decide: se ho dieci webzine e tre giornali che mi parlano bene di Caterina Barbieri rispetto a Lia Bosch la scelta è comunque mia.
Hahaha, nome a caso?
No, immaginavo si parasse lì, comunque è molto discussa. Posso capire non piaccia e la si reputi sovrastimata, ma poi mi faccio una domanda: potrebbe esser così però indubbiamente si sa muovere, indubbiamente riesce nel suo ed a livello artistico il suo lo spinge, che si vuole di più?
Ma… quello tanto di cappello però dobbiamo capire dove stanno l’astuzia, l’abilità e soprattutto la qualità artistica. Sono cose diverse, nel senso, non voglio parlare di lei a livello specifico (sicuramente è come dici tu e sicuramente sono in errore) però io ho i miei gusti e penso che alcune cose sono molto molto spinte da una sorta di movimento che ci sta intorno.
Anche perché, parlandoci schiettamente, viviamo in un pianeta dove il 90% della produzione musicale è inascoltabile. Fondamentalmente la bellezza della musica è già un’eccezione, forse ci tocca di più quando questa rientra nei nostri parametri. Però vedendola nell’altro senso è una musica che, piaccia o non piaccia, è di un ambito, spinge e porta persone ad ascoltare materiale al quale non arriverebbero mai. Un ascoltatore che passi da Caterina Barbieri alle tue produzioni sarebbe comprensibile, molto più che altre cose ben più infime… ci sta come compromesso!
No, no, ma infatti! La mia era una critica puramente basata sul gusto personale, a me non piace proprio, ed è una moda che è nata in questo ultimo periodo quella di usare tutti questi modulari dove il suono è di una prevedibilità estrema. Mi annoia proprio, ho bisogno di altri riferimenti, ho un approccio speculare, parto dal campionatore, dall’analogico, dai multi effetti. Non uso il computer, credo di avere un cubase che forse è la seconda versione uscita, ci registro soltanto, ma nessun suono è composto con il pc. Con Lia Bosch ho trovato l’esatto contrario ed attraverso di lei credo di aver dato un bel segnale! Nel mio piccolo credo di fare un buon lavoro anche a livello di comunicati stampa, le pubbliche relazioni creandomi un buon network, anche il buon Fabrizio Garau mi segue da una vita. Sono più che soddisfatto e l’importante per me è il messaggio di ogni album che pubblico, tutto quel che ci gira intorno è superfluo. L’importante è che se ne parli e che alla gente piaccia il disco e continui a seguirci. Questa cosa è fondamentale e rimanere in questo ambito non è facile! L’anno prossimo faremo 20 anni, non so se faremo qualche cosa, ancora non ci ho pensato. Per i 10 anni facemmo un festival a Milano dove suonai con Rapoon, Enrico Coniglio e Philippe Petit, oltre a Netherworld, organizzato al Masada a Milano, grazie a Matteo Mauro Meda di Plunge. L’importante sarà esserci… farò uscire un disco mio di cose vecchissime e inedite per il quale devo ringraziare mia figlia Dafne (la più piccola), che me ne ha dato lo spunto. All’altra, Ginevra, la più grande, dedicai Algida Bellezza nel 2019, che credo fu recensito da The New Noise, fu fatto quando nacque e suonavo con un braccio cullandola con l’altro, nacque così! I suoni sono abbastanza cupi ed oscuri ma era l’input creativo che ebbi alla sua nascita: lo titolai Algida Bellezza in riferimento a lei ed all’artico che sta piano piano svanendo a causa di tutti i cambiamenti. Questo nuovo disco invece, il cui titolo dovrebbe essere L’Eremita, come ti dicevo prima, è partito proprio da Dafne. Essendo una bambina che non sta ferma un attimo con le sue manine, un giorno mi buttò tutti i cd a terra dallo scaffale facendomi tornare su alcuni cd-r completamente dimenticati che ho rimesso in ascolto, materiale agli albori di Netherworld e mai pubblicati. Alcune cose le ho perse per sempre per il loro deterioramento, mentre altre sono state recuperate e suonano secondo me come un salto all’indietro, composte con materiale scarno, ma credo che questo lavoro potrà avere ancora un suo fascino. Un disco diviso a metà, una parte più oscura, dark ambient ed una più glaciale. Fatto tutto con un sintetizzatore, microfoni ecc. Bisognerà lavorarci bene fra masterizzazione e pulizia del suono, che sarà curata dal mio amico e ingegnere del suono Matteo Spinazzè Savaris. Poi potrebbe esserci qualcosa, sono amico di Guido Zen aka Abul Mogard, ci scriviamo spesso ed è una persona gentilissima: gli ho proposto alcune cose e mi piacerebbe molto fare un disco insieme a lui. È super impegnato ed ha giustamente i suoi tempi, ma chissà, magari un giorno riusciremo a far qualcosa insieme. Comunque ora è uscito il disco di Amphior, con un packaging diverso dal solito, più costoso ma bellissimo e le risposte sono ottime. Avremo il disco di Michael Begg e poi il disco di Øjerum, non so se tu lo conosca (recensito su queste pagine con la recensione di Everything Wounded Will Flow, ndr). Anche lui danese, uno stile che è perfetto per quello che voglio trasmettere in musica. Ha talento, classe, è minimale, fa delle cose bellissime. Se tutto andrà bene uscirà in estate, poi altre due produzioni. Apro una parentesi anche per un disco che secondo me è la quintessenza dell’isolazionismo glaciale, Niptaktuk di Ark Zead (anch’esso passato sotto alle nostre penne, ndr), del quale ho rispettato la volontà di rimanere anonimo. C’è un’aura di mistero su questo nome, non si sa nulla al riguardo. Kevin Richard Martin ripubblicò su X (non so come gli sia arrivato) l’album come il suo disco notturno dell’estate.
A livello di giovani, invece, c’è qualche nuova leva che ti ispira musicalmente negli ultimi periodi?
Beh, credo Amphior entri di diritto in questi gruppi, non credo arrivi ai 20 anni, è un ragazzo con una sensibilità artistica straordinaria, ma pure Øjerum è giovane! D’altri cosa posso segnalarti? C’è Sara Persico che mi piace, dovevo anche suonarci insieme a Roma ma poi la serata al Klang fu rinviata per un problema tecnico.
L’ultimo disco suo è bellissimo, meglio a mio parere del precedente che era comunque ottimo.
Avevo anche una mezza idea di contattarla, ora sono veramente incasinato con le cose in programma ma credo lei abbia veramente qualcosa!
Io ti lancio un paio di nomi che secondo me potrebbero intrigarti: Perpetual Bridge, una musicista ticinese che parte dalla musica elettronica verso l’ambient.
Mandami tutto, io ascolto volentieri! Poi ho molto altro, i Retina.it che mi hanno appena mandato il nuovo disco (già collaborammo in passato), poi un ragazzo ucraino, Oleh Puzak, che ha lavorato spesso per la Cryo Chamber con il nome Dronny Darko. Si chiamerà Polar Vortex ed è molto fico. Poi Michael Begg di cui già ti accennavo, ha fatto un viaggio in Antartide sponsorizzato da una compagnia navale. Siamo a buon punto anche con lui, quindi diciamo chi diversa carne al fuoco….
Ah, un altro nome che devi ascoltare di certo, considerando che al tuo stesso viaggio nordico, che è quello di Marta Zapparoli uscita per Dissipatio, Interdimensional Generated Space. Disco bellissimo che credo purtroppo si siano filati in pochi…
Intrigante! Sul funzionamento credo che molto dipenda da quanto si spinga sulla promozione… ti posso dire per esperienza che bisogna essere piuttosto martellanti. Mi sono reso conto che con Lia Bosch così come con tutti gli altri artisti del mio catalogo, se mi fossi appoggiato ad un’agenzia stampa mi avrebbe chiesto almeno 1000 euro per il lavoro che ho fatto io. Anzi, forse pure di più, considerando che siamo arrivati anche sul Manifesto come mai mi era successo, tutto sta nella diffusione, bisogna insistere… in questa vita nessuno ti regala nulla.
Quella è una certezza che anch’io ho sempre cercato di portare avanti, credo sia quello che un’etichetta dovrebbe fare. Perché spendere mille euro per un ufficio stampa quando sai a chi rivolgerti ed è la tua missione come label?
Eeh, perché non tutti sanno a chi rivolgersi e non tutti vogliono farlo! Come avrai notato, invio le newsletter due volte… poi mando anche la copia fisica. Un lavorone che richiede tempo e pazienza, ma che per me è fondamentale quanto la grafica ed il suono. Vanno di pari passo.
Io a volte fatico con gli uffici stampa perché credo che un’etichetta debba essere in grado di promuovere sé stessa. Saltando lo step di un ufficio stampa che alla resa dei conti è una spesa non indispensabile non potrebbe funzionare comunque?
Non sai quante agenzie negli anni mi hanno contattato per fare quello che già faccio io… perché dovrei investire su un ufficio stampa pagando 500/1000 euro per avere un servizio che è pari o peggiore a quello che potrei fare io? Non so, credo che alcune etichette non siano interessate. Per me ogni produzione è come la prima, per la richiesta di questa intervista sono felice come un ragazzino. Per me è sempre Natale, poi ci sono proprio delle testate cult alle quali tengo particolarmente come la vostra. Fabrizio mi segue da sempre, mi intervistò anni fa, nel 2013, quindi c’è un legame molto saldo!
Io non vi conosco da molti anni ma qualità ed immaginario sono una cosa bellissima, quindi vi rimarrò affezionato di certo!
Grazie! L’immaginario ha attirato molte persone, tutto il discorso legato all’impatto climatico globale prende sempre più piede, tutto quello che abbiamo oggi probabilmente non sarà a disposizione delle prossime generazioni, in gran parte per causa della civiltà umana ed in parte per una ciclicità del pianeta stesso. Poi c’è tanto da studiare secondo me a livello di misteri, congetture e leggende, l’Antartide ha sempre suscitato un certo fascino… ad esempio i racconti dell’ammiraglio Bird, che entrò in contatto con una civiltà avanzata nel cuore del continente, oppure le teorie sugli accessi Polari per la Terra Cava. I nazisti (ma non solo loro) hanno condotto molte esplorazioni in questi territori…