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SANNHET, So Numb

Dopo l’ottimo Revisionist, il terzetto strumentale chitarra-basso-batteria Sannhet (“la verità” o “la realtà” in norvegese, ma loro sono di Brooklyn) riesce a superarsi. Il disco, a leggere le parole del bassista pubblicate dall’inglese Independent, nasce da un periodo di difficoltà per tutti e tre, specie per lui, caduto nelle dipendenze per non affrontare i suoi problemi. Anche la copertina, nel rappresentare una madre che copre gli occhi al figlio, fingendo di parlare di un gesto tenero mostra qualcuno che nasconde la realtà (appunto) a un altro. Di sicuro, nella parte centrale di So Numb, ci sono alcuni episodi lenti e dolorosi, che potrebbero far pensare a persone che non se la passano bene, ma la cosa strana (o forse no) è che gli altri momenti possiedono una vitalità incredibile, al netto di qualche parte di chitarra più triste, e sono forse i migliori dell’album.

Come già scritto in passato, si parte da Krallice e primi Liturgy e si arriva oggi in un territorio familiare ma ancora inesplorato. Non c’è praticamente più il black metal, ma ci sono ancora la sua velocità, la sua energia e la sua potenza, poi ci si imbatte in continui cambi di direzione e passo in cui ciascuno di noi potrà trovar riferimenti al post-rock/core/metal, e tutto questo è al servizio di un suono che ormai è solo Sannhet, un gruppo sempre più coeso e intenso. Per dovere di cronaca, in alcuni frangenti ci sono le tastiere di Thomas Bartlett a impreziosire l’insieme, ma ritengo che se in tour andranno comunque in tre senza un turnista, nessuno avrà qualcosa da ridire.

Un ascolto corroborante, dal quale si esce pieni di forza e motivati. Tra le cose migliori sentite in questo 2017.