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RADIAN, 18/11/2023

Radian

Udine, Auditorium Zanon.

I Radian sono un gruppo coi controcoglioni, perché secondo me sono sempre stati molto più avanti degli altri e ancora oggi si fa fatica a star loro dietro. Non sono il loro biografo, ma so che sono nati a metà anni Novanta del secolo scorso: la loro matrice sembra proprio la scena viennese di quel periodo, in cui convivevano e si influenzavano rock, elettronica – entravano in scena i laptop e tutte le conseguenze dei laptop – e improvvisazione. Un modo molto semplice con cui da nerd a nerd trasmetto l’informazione “cosa fanno i Radian” è “glitch suonato”. Per i non nerd questa cosa non significa un cazzo, ma – fidatevi un secondo – è la formuletta con cui risolvi i problemi. Un fatto incredibile è che pur vivendo a sei ore di distanza dalla mia regione, non ci erano mai passati per un live. Ci ha come sempre pensato Hybrida di Tarcento, chiamandoli alla quattordicesima edizione di Forma, alla quale hanno preso parte altre band di assoluto valore, come ad esempio i Gala Drop. Dunque scrivo adesso – perché sono stanco di sottolineare l’ovvio – che il lavoro di Hybrida è intelligente, prezioso e va sostenuto.

I Radian, come si sa, non sono Elvis, dunque entrano in scena con assoluta discrezione e sobrietà, purtroppo un po’ invecchiati (abbiamo aspettato venticinque anni per chiamarli, colpa nostra), ma per fortuna hanno un Martin Brandlmayr (batteria, laptop, elettronica) spettacolare nel suo sbagliare apposta. I suoi movimenti, specie all’inizio, sono pazzeschi e un motivo per andare a vedere questa band dal vivo: fa sembrare naturale l’innaturale, intuitivo il controintuitivo e sembra che al suo posto ci sia un ologramma che ogni tanto salta o si fa scattoso come se il processore del pc che lo proietta avesse avuto un rallentamento o un bug. Potrebbe essere uno di quei cyborg di “Alien” che solo quando li ammazzi capisci che sono macchine. “I experience Radian tracks as something like oscillating sculptures”: così disse Brandlmayr a Wire nel 2004, e credo di aver finalmente compreso l’immagine.

Chi ha familiarità con la commistione di linguaggi attuata dalla band stasera rimane stupito da come la riproposizione dei lavori recenti, su tutti l’ultimo Distorted Rooms, che apparentemente domina la scaletta, sia così precisa e possibile (andrebbe poi aperto un capitolo a parte sull’uso dei silenzi), e si fa fatica a capire se certi suoni siano artificiali o eseguiti manualmente da uno dei tre. È grazie a questa mancanza di indizi che ci si accorge anche della tecnica e dell’approccio molto personale alle corde del bassista John Norman.

Note a margine: (1) apertura affidata giustamente all’underground locale, con un Happy Error impeccabile col suo armamentario analogico (ho pensato a Populous, ma voglio approfondire) e alla londinese Lolina, appena uscita da un film anni Novanta di David Fincher, che avrebbe bisogno di un’altra persona ai suoni (e non del suo laptop) a supportare il suo spoken word; (2) a me piace l’Auditorium Zanon, mi sono trovato bene anche quando pochi mesi fa gli amici di Cas’Aupa hanno chiamato Tim Hecker, ma sarebbe ora di aprire il bar.