Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

PRAIRIE, After The Flash Flood

Come si sa, Denovali Records nel corso degli anni (e ne sono già passati un sacco) si è spostata quasi del tutto da band di matrice hardcore e metal a progetti di area ambient/noise: le atmosfere cupe e pesanti sono rimaste il comune denominatore. Prairie (il belga Marc Jacobs) appartiene alla seconda categoria di artisti spinti dall’etichetta tedesca e qui prova a fare la colonna sonora del disastro: il titolo suggerisce che l’oggetto sia il “dopo”, ma in realtà i primi brani sembrano il durante, visto il diluvio stordente di suoni e battiti provenienti dalle fonti più diverse, soprattutto – credo – chitarre molto effettate e campionamenti affastellati l’uno sull’altro. Il primo impatto, insomma, è forte e coinvolge, creando curiosità sugli sviluppi di tutto questo caos: posto che oggi sono in molti a sfruttare la potenza del digitale per creare strati su strati di musica, qui uno dei pochi paragoni possibili – ma non c’è il rischio di confondere l’impronta dell’uno e dell’altro – è con Gnaw Their Tongues, perché entrambi eccedono volutamente nell’accumulare suoni  per piegare in due chi ascolta. Quando Jacobs, mantenendo una certa coerenza a livello di timbro e di “colori”, passa a descrivere la desolazione e le macerie, perde un po’ di mordente e non sembra dire nulla di granché nuovo, per quanto non lo dica male: se come immagine per sviluppare un album atmosferico si prende il “day after”, ci si mette senza volere a confronto con un numero sterminato di dischi (Locrian, MGR, ma potrei proseguire per giorni), col pericolo di non sembrare sempre all’altezza o di ripercorrere i passi di altri. Consiglio a chi segue il genere di provare ad ascoltare il disco, ma non di acquistarlo sulla fiducia.