MESSA, The Spin
The Spin esce addirittura per Metal Blade. È già il quarto album, ma i Messa non si raffreddano/stabilizzano. Immaginano come sempre versioni differenti di loro stessi, senza troppi calcoli su cosa funzionava prima o possa funzionare ora: questa volta, forse sulla scia di “Dark Horse” del disco precedente, provano a vedere, soprattutto in apertura, cosa succede se si mettono a fare Killing Joke, Sisters Of Mercy e Cure altezza Seventeen Seconds, ricattandoci per una manciata di secondi con la nostalgia sci-fi dei synth un po’ – appunto – alla “A Forest” e un po’ alla Carpenter/Perturbator. Se ho ben capito, in studio c’era uno dei Nuovo Testamento, quindi tutto torna. Sicuri di sé, come si capisce anche dai solismi sparsi ovunque, piazzano a metà due lentazzi poco post-punk, ma molto malinconici (All my monsters / Ready to feed / Coming over / Eating my heart), usciti pure questi da un’epoca che non è la nostra. Del resto la mia idea, sentendo The Spin, è che i Messa assimilino tutto, ma che niente li assimili. In chiusura rimescolano ancora le carte con gusto (“Thicker Blood” cresce a ogni ascolto), fermandosi a sette pezzi per quaranta minuti, così da non stancare, nonostante non ogni momento sia semplice e diretto come il trittico iniziale.
Giusta secondo me la scelta del gruppo di guardare in casa e ingaggiare Nico Vascellari per la copertina. Può stare sul cazzo, ma a modo suo in Veneto ha portato molta roba estrema, metal compreso: la ruota in copertina fa pensare a un artista che lui ha esposto in Italia, Banks Violette, nello specifico alla sua scultura “Zodiac”, che rappresenta la moto schiantata di Steven Parrino e per associazione di idee ci porta al video incredibile di “At Races”.