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HIGH PRIEST, Invocation

Esce questo giugno Invocation, debutto degli High Priest (Chicago), che sono dediti allo stoner doom più tradizionale. Si può dire che le loro ispirazioni principali sono quei nomi impossibili da non fare quando si tratta del genere in questione, a partire dai Black Sabbath, la cui influenza è evidente sui riff (in primis “Ceremony”, terza traccia), e dai loro vari eredi. Ma è proprio su questi eredi che si innesta uno dei punti di forza del gruppo: se c’è una chiara presenza di Electric Wizard e dello stoner metal più duro, si sentono anche – voce compresa – grunge e alternative/indie rock, così Invocation finisce per fare al caso anche di chi ascolta Soundgarden e Alice in Chains. Come da suggestivo artwork di copertina, l’album si sviluppa come una sorta di lungo trip cosmico che unisce chitarre ultradistorte e un basso molto “metallico” ad aperture vocali melodiche e altrettanto suggestive. Ci sono passaggi particolari che fanno anche da ponte tra un pezzo e l’altro, e danno ancor più l’idea di aver a che fare con un “album di una traccia sola”. Non poche, infine, sono le volte in cui gli High Priest rimandando all’heavy rock o al metal più tradizionale, sempre però tenendosi nei canoni dello stoner “by the book”.

Senza dubbio un ottimo esordio per un gruppo che ha le idee chiare sui propri riferimenti musicali e sul pubblico cui è destinato il proprio suono, che non per forza deve coincidere con la “tribù” stoner.