AK’CHAMEL, Rawskulled
Vi abbiamo già parlato – erano i tempi del nastro pubblicato da Artetetra – di questo misterioso duo (?) di invasati texani che fa di un esotismo sgangherato la propria ragione musicale: ci torniamo su per narrarvi di questa nuova uscita che rivela un’immutata tendenza a creare un immaginario da terzo mondo in avaria, servendosi stavolta dell’uso potente della reiterazione, come in un rituale sciamanico, in un adorcismo in favore di entità strampalate. Per quanto persista un senso generale di spaesamento, rispetto al passato i riferimenti sonori del micidiale combo sembrano più precisi, gli Ak’chamel sembrano guardare con particolare insistenza ai suoni dell’area geografica che circonda il Sahara. Le chitarre scottano e stavolta predominano sul consueto campionario di rumori e sugli scampoli sottratti a frequenze radiofoniche incerte: siamo sull’orlo di un deserto ma più che a quelli berberi la mente corre ai predoni Tusken di lucasiana memoria o, meglio ancora, ai Jawa, mercanti in quel di Tatooine, con i quali i texani condividono il gusto per il recupero di rottami, in questo caso sonori. Ad accomiatare l’uditorio è, nel brano a chiusura del disco, la voce di Mark Gergis, patron di Sublime Frequencies, uno insomma che di esotismi variamente declinati se ne intende, a suggello della bontà dell’operazione.