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SILENT HARBOUR, Noctiluca

SILENT HARBOUR, Noctiluca

Un album nuovo ogni tre anni. Noctiluca conferma l’eterno ritorno di Silent Harbour, il più ciclico dei progetti lanciati da Boris Bunnik, l’artista dai molteplici pseudonimi. Se il suo alias più celebre e prolifico, Conforce, è legato a doppio filo all’etichetta Delsin, di cui è divenuto una sorta di ambasciatore, differenti soprannomi sono stati, invece, impressi su svariate release nel corso di due lustri. Alcune hanno proficuamente concorso alla promozione della sua Trascendent, altre hanno ribadito la versatilità di approcci dell’olandese, elevando la sua credibilità su scala internazionale, mettendolo tra i rari produttori contemporanei in grado d’imprimere la propria personalità in ogni singola traccia, a prescindere dal genere e dallo stile adottati.

Il nickname Silent Harbour è quello dalle molteplici influenze, connesso in misura maggiore alle vibranti sonorità dub techno, che non disdegna occasionali incursioni ambient e, soprattutto, incorpora il prezioso e intangibile lascito dello storico duo Basic Channel. Le sei tracce di Noctiluca segnano anche il ritorno di Silent Harbour sulla Echocord di Kenneth Christiansen, metà del duo Pattern Repeat. L’etichetta danese aveva pubblicato l’omonimo album d’esordio, Silent Harbour (2012), a seguito di una performance di Boris Bunnik presso il locale del secondo, il Culture Box di Copenaghen, mentre il successivo e doppio Hinterland (2015) era stato consegnato nelle mani della Deep Sound Channel, una propaggine della Shipwrec.

Noctiluca è un disco che, etimologicamente, risplende nella notte, ispirato da quel genere di protozoi dinoflagellati marini a cui appartiene l’omonima medusa, di forma sferica, provvista di un unico breve flagello e di un tentacolo adesivo per la cattura di microrganismi planctonici. Un’animale comune nel Mediterraneo, nel Mare del Nord e persino nell’Atlantico, spesso citata dalle cronache per le dolorose irritazioni che provoca una volta entrata in contatto con parti del corpo scoperte e per il suo colorato reagire con la bioluminescenza a stimoli meccanici, fenomeno da cui dipendono, ad esempio, le scie luminose provocate dal passaggio di imbarcazioni o dal semplice nuoto di persone durante la notte. Un concept affascinante, che non si limita al solo titolo.

Non a caso, “Riparian” si riferisce all’interfaccia tra la terra e un corpo acqueo che scorre in superficie. Un’introduzione torbida ai limiti del beatless, in aperta opposizione al ritmo e alle bolle della title-track. Abissale, ipnotica. “Dwelling” ne fa proprio il mood e distilla emozioni in serie, complice il sovrapporsi di trame in continua evoluzione, scandite da bassi cavernosi e robuste percussioni, mentre “Peridinum”, dal nome di un dinoflagellato corazzato, amalgama kick fragorosi e improvvise stoccate sintetiche. Se “Fusiformis”, come l’anellide policheta canalipalpato da cui trae il titolo, si “snoda” in scia al travolgente groove, “Pelagia” costituisce l’ultimo assalto dub techno tra gorgoglii ellittici e riverberi oscuri. Lode al virtuoso e ripetuto utilizzo del sintetizzatore PPG Wave.