Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

SHE’S ANALOG, What I Bring, What I Leave

She’s Analog è un trio di musicisti – Stefano Calderano alla chitarra, Luca Sguera dietro piano Rhodes e Prophet, Giovanni Iacovella alla batteria – variamente dislocati lungo lo stivale e a cui piace praticare quei terreni musicali impervi che (per pigrizia intellettuale) amiamo raccogliere all’interno della denominazione di “jazz contemporaneo”, macrocosmo che racchiude in sé linguaggi e grammatiche molto differenti fra loro e spesso distanti dalla originaria matrice afroamericana.

Quindi non aspettiamoci da questo primogenito What I Bring, What I Leave solo blue notes e ritmi sincopati, anzi: mettiamoli decisamente da parte in favore di riff assassini, digressioni math e notevoli spunti melodici, declinati con una leggerezza che rende il tutto estremamente piacevole, non pretenzioso, lontano da ogni forma di onanismo jazzofilo. La batteria scoppiettante di Giovanni (tutta schiocchi, sibili e singulti, quanto di più free form capiti di sentire in giro), i circuiti sempre roventi di Luca e le solide strutture armoniche di Stefano si intersecano in forme per nulla astruse, in composizioni mai fredde e distaccate ma profondamente umane, che lasciano trasparire emozione e coinvolgimento in ogni passaggio. Per il futuro li vedrei bene diluire maggiormente i loro brani, essere cioè meno densi e sintetici, impegnandosi magari in esecuzioni-fiume à la The Necks, tanto per scomodare dei capisaldi della libertà espressiva. Per ora le premesse ci sono tutte.