Placenta e il suo Doppio

Loris Cericola negli ultimi anni è sempre stato uno degli artisti che più mi hanno intrigato. Dinamico, in grado di gestire diversi mondi sonori nei progetti che lo vedevano impegnato. Non conoscendo la prima parte della sua carriera, non ne ho mai studiato le radici, limitandomi a vivere il suo presente. Quando poi ho ricevuto notizia che il suo album sarebbe uscito anche su una delle mie etichette preferite (quell’Anthropologist Inc. che ancora non ha sbagliato un colpo) gli ho buttato l’idea di una chiacchierata che ha finito per abbracciare vari temi e strati di significato. Che sia l’apertura di una porta d’entrata in un mondo, quello di Placenta e di Loris Cericola.

Ciao Loris, come stai? Partiamo subito a bomba: è il primo album lungo di Placenta, è corretto?

Loris Cericola: Sì, è il primo album dopo qualche ep preparativo. Il primo, Iconoclaust, è uscito a fine 2022 ma era un lavoro postumo, un’evoluzione un po’ più dura, più distorta di un progetto che avevo qualche anno prima, Vacuum Templi, in cui facevo un dark ambient ispirato a tematiche incentrate sull’occulto, piuttosto che – tra virgolette – all’anticattolicesimo. Un progetto nato intorno al 2014, con il quale ho prodotto un ep e un disco, e che ho terminato nel 2019. Poi in pandemia ho lavorato a questo Iconoclaust: in realtà inizialmente non aveva indirizzo e, nato Placenta, l’ho intestato a questo progetto, visto che ancora doveva uscire. Poi ne ho fatto uscire un altro, Placenta Corporation ©, prodotto dopo questo Double Farce.

Quando è iniziato il tutto a livello musicale, Loris?

Ho iniziato nel 2012 a suonare componendo inediti, quando avevo questo progetto hardcore punk di stampo americano alla Black Flag e X, e nello stesso anno sono iniziati gli Spirale.

Con che tipo di musica cresci? Che passaggi hai avuto dall’hardcore punk al presente? Lo chiedo considerando che comunque fra le uscite a nome Loris Cericola a quelle a nome Placenta c’è una bella distanza stilistica.

Io parto con l’heavy metal più classico, quello inglese. Black Sabbath in primis e poi tutta quella NWOBHM, gli Iron Maiden, il thrash metal, quello spettro, per poi arrivare dopo all’hardcore punk, un percorso inverso rispetto a chi dal punk si è appesantito. Punk direi tutto al contrario del metal, del quale ho preso solo il thrash, poi più tardi magari l’industrial metal, che mi ha messo a confronto con delle sonorità che mi erano sfuggite prima, meno adolescenziali e meno classiche. Il Punk in realtà mi ha aperto a tutto, anche alla sperimentazione e all’ambient dei Crass, che erano un gruppo punk non convenzionale, con uno spettro di cose più vicine a industrial e sound collage. Poi si sono sviluppati i Vacuum Templi e ora sono un po’ una declinazione più morbida di quello che sono stati loro, tutta roba beatless, basata su synth e nastri, una sorta di cut up in una chiave più ascoltabile e “compositiva”, anche se di composizione reale non c’è niente, essendo io un autodidatta. Poi il noise rock, più legato alle cose albiniane, iniziando dai Nirvana e divergendo. Un po’ di cose, con le mie esperienze sonore che andavano di pari passo con gli ascolti.

Beh, direi un’ovvia maturazione! A livello di pari età o di progetti e personaggi locali un pochino più grandi di te durante la tua crescita della tua zona? Cosa c’era e c’è a Macerata a livello di scena locale? Che succedeva durante i tuoi sedici-diciassette anni?

Guarda, io a quei tempi erano già abbastanza… siamo arrivati a fine cena diciamo! A quei tempi c’era tanto metalcore, una cosa che comunque non ho mai sopportato pur trovandomi a far concerti insieme a band metalcore durante il mio periodo hardcore, ma non c’era molta roba che potrei citare. Sono stato comunque un po’ allevato dai più grandi della zona che già non suonavano più, ma posso citarti questo gruppo industrial drone di Civitanova che si chiamava Gomorra Beach, dove suonava Sense Fracture aka Francesco Birsa Alessandri, che lavora con Haunter Records e organizzava delle cose a Macao. Loro si sciolsero probabilmente quando ancora studiavo alle medie, ma furono un punto di riferimento reale e realistico. Per il resto, strada facendo, c’erano gruppi di pari fra i quali ci siamo influenzati, c’era tanta roba simile a quel che facevamo con gli Spirale, oltre a derivazioni del grunge o di materiale più verdeniano. Sicuramente servirono a capire che strada non prendere! Amici anche, ma musicalmente…

Beh, gli esempi negativi sono importantissimi! Poi non vuol dire, ci sono moltissime persone che stimo che ritengo ascoltino musica di merda, non per forza la cosa va di pari passo! Tu arrivi questo anno con il primo album, che esce solo su nastro per quattro etichette differenti.

Sì… posso dire che forse questa volta ho toppato. Mi hanno fatto notare che forse la cassetta non era il formato giusto (pur avendola sempre utilizzata io da Vacuum Templi in poi). Sono dieci anni buoni che produco in questo senso, prima con una piccola etichetta, ho tutti i materiali per dubbare le cose ed in realtà più che una scelta è stata una continuità, avendo sempre ragionato così. Ma, come mi hanno notare, forse il cd sarebbe stato meglio. Di vinile meglio non parlarne, mi piacerebbe molto farlo ma è una spesa grande per la quale non ho mai trovato una label che ci credesse così tanto da investire in questo senso, anche per una piccola tiratura: il rischio di far ammuffire il disco, anche con una stampa limitata, era troppo grande.

Certo. In che tiratura esce il nastro? Perché una scelta così ampia di co-produzione?

Abbiamo fatto 100 copie, ognuno la sua parte. Sono quattro etichette, più che una necessità economica (considera che ho sempre prodotto per conto mio i nastri, anche se è una soluzione comunque molto comoda vista la lievitazione schifosa dei prezzi di produzione) è stata l’idea di decentralizzare la cosa. C’è Mmvision che è un ragazzo molto giovane, avrà 20 anni ed è uno dei due dietro a Deepthroat Records a Milano, poi c’è Joshua di Anthropologist Inc., limitrofo in quanto a provincia. Home Mort che è sarda, di Alghero, e Crash Death che sta in California. La mia idea iniziale sarebbe stata di prendere tutti… c’era questa cosa in ballo con un’etichetta australiana, un’altra di Berlino, avrei voluto allargare globalmente la cosa.

Cosa che sarebbe stata comunque sensata per spargere l’uscita in maniera capillare. Ascoltando il nastro ho trovato dei momenti che avrebbero quasi delle speranze di essere orecchiabili e che, per sbaglio, potrebbero addirittura a finire su qualche radio. È un lavoro rognoso a livello di temi e di mood, ma che ha quegli attimi dove c’è della musica orecchiabile, quasi una convivenza di diverse anime, non so che tipo di equilibrio hai cercato in Placenta. Che tipo di lavoro avevi in mente? Componendo che idea avevi?

Io sono contento che questa cosa si sia sentita, molto! In realtà, ad essere proprio sincero Placenta ha iniziato a prendere una forma solo dopo, nascendo molto per scherzo. Quei pezzi son nati cercando di fare delle canzoni, con delle strumentazioni che non sapevo usare molto bene, cercando di unire una scrittura, dei testi e delle rime che qualcuno potesse canticchiare senza perdere il senso delle cose, per dei significati che per me sono molto presenti. È nata cercando una sorta di orecchiabilità  che rimanesse violenta, non con la volontà di sfondare un muro fra Noise, industrial ed hardcore, estremismi del rock meno accessibili che di norma rimangono ostici da digerire. Pur essendoci progetti e forme che cercano vie orecchiabili e mainstream a un certo tipo di rock, vedi i Ministry o i Nine Inch Nails, non volevo ammiccare a loro. In primis scegliendo l’italiano, lingua che uso da sempre anche come Spirale (a parte i primi esercizi anglofoni), considerando che mi ritrovo In italia e voglio essere comprensibile, cercando ganci come rime e semplicità testuali, giochi di parole e parallelismi che uno può ricordarsi.

Sembra un po’ la tecnica del bastone e della carota, attirandoli con la melodia per poi partire con le mazzate, tecnica che apprezzo sempre molto! Come Placenta come ti poni rispetto alle esibizioni dal vivo? Come ti muovi? One man show?

Sono da solo, ho un korg electribe, un campionatore con tutte le tracce di Placenta non programmate, quindi non faccio play e loro non vanno da sole con strofe e ritornelli. Ho la mia banca suoni e la traccia la faccio partendo da kick e basso giocandomi tutto live, una mano sull’electribe e una sul microfono. Poi ho un quattro tracce che uso come mixer e ci butto dei sample da nastro quando mi gioco degli intermezzi più sonori e più drone…

A che tipo di progetti ti piace accompagnarti dal vivo? Ti vedrei bene anche in compagnia di set con suoni molto differenti dal tuo, a livello di eclettismo, che penso rappresenti anche i tuoi differenti lati. Quali sono stati gli incroci più belli dal vivo mai avuto?

Non per essere essere didascalico ma mi è capito di aprire per i CCC CNC NCN, per me sono un progetto che da tantissimi anni apprezzo. Attualmente o comunque nel tour che ci ha visto incontrarci erano intenti con materiale molto diverso da quello storico, con degli show più performativi, con molta gente sul palco, differente pur rimanendo fortemente industriali. Poi ho suonato con gruppi come gli Xxibit, un gruppo Noise rock, ma anche in situazioni più techno. Ho suonato con gli Essayra, fichissimi, capitando in questa situazione ibrida, con noi due a suonare live e dj set techno e performance, così come suonare con gruppi doom metal. Placenta può stare in diverse situazioni!

Anche perché appunto, essendo Placenta, può contenere diverse cose. Come hai scelto il nome del progetto?

Questa è una bella domanda perché non l’ho mai effettivamente elaborata.
Il nome Placenta è nato innanzitutto per esaltare una dimensione interiore, ispirato alla fase embrionale precedente alla nascita; mi piaceva l’idea di accentuare un certo dualismo tra materia organica e fisica e materia artificiale e abiotica, quest’ultima rappresentata dalla scelta della forma e dei suoni, prettamente campioni di chitarre e suoni d’ambiente “computerizzati” e artefatti. Inoltre, c’è un immaginario narrativo ispirato dal periodo pandemico dietro al nome “Placenta Corporation”: una fantomatica meta-organizzazione segreta atta a diffondere un virus (“Placenta”, qui intesa come intrusione esterna) e a trasformare la popolazione in apatici subumani senza personalità, in maniera da mantenere il controllo sul mondo; questa è una metafora del dualismo di cui prima, dell’inscindibile rapporto uomo-macchina, dei mortiferi processi del capitale nella cultura dello sfruttamento, della sopraffazione e della violenza di potere, ma anche metafora di un atto di “eversione spirituale” indirizzato all’eliminazione e annullamento dell’ego. Per questo motivo, soprattutto quando faccio le mie comunicazioni online o dal vivo, mi “diverto” a parlare in terza persona per accentuare la narrazione che Placenta non sia io ma un Doppelgänger (la decima traccia del disco “Doppio” – o “Senza Volto”, che sta nel precedente ep – sono i manifesti sonori di questa narrazione).

Il finale del disco è abbastanza significativo a livello politico, spendendoti su temi che purtroppo sono sempre all’ordine del giorno. Cosa vuol dire secondo te dire la propria con la musica in questo senso, nel 2024? Tentando di far passare una propria idea ed un proprio messaggio hai poi dei feedback oppure rimane una tua opinione incisa e nulla più?

Direi di sì, nel senso: anche con Spirale toccavamo temi come la religione, intesa come gabbia intellettuale e concettuale. Non ho mai lanciato messaggi apertamente politici anche se con Placenta, sin dall’inizio, mi sarebbe piaciuto un po’ più non concentrarmi solo su di me. Penso, essendoci arrivato anch’io un po’ dopo, che ora come ora non sia solo necessario prendere posizione, ma anche obbligatorio, e il fatto che la musica rimanga slegata dalla politica è un po’ una stronzata. Tutto è politica, innanzitutto, non per ripetersi, ma la musica come intrattenimento non può stare in tempi così terribili ed apocalittici come l’oggi, mi sentirei in colpa ed egoista a non dare il mio contributo, senza che questo sia necessario né richiesto. Non serve analizzare e scervellarsi per mettere determinati temi, molti musicisti, soprattutto della mia età, non ne sono interessati e non lo fanno. Questo non vuol dire per forza scagliarsi contro lo Stato sionista o l’imperialismo o quel che sia. C’è molta difficoltà, molta paura di esporsi, forse è anche questo. Stiamo comunque vivendo tempi dove non è che sia impossibile dire la propria ma talvolta diventa quasi pericoloso. Ti esponi in qualche modo su problematiche che rimangono inchiodate ai social network. Venendo dal punk hardcore e dall’anarcopunk inglese mi sono trovato molto a casa ed a mio agio a fare questa cosa e credo sia necessario e che ci vogliano tutte le forze congiunte per sensibilizzare e colpire.

Mi è capitato, prima dell’uscita del disco, con la traccia “Settembre Nero”, ispirata ai massacri di Sabra e Shatila ma più in generale un po’ una dedica alla resistenza palestinese contro l’occupazione israeliana, e l’ho fatta uscire il 7 ottobre, non perché volessi fare provocazione scevra ma mi sembrava opportuna. C’è chi mi ha detto: “Oh, ‘azzo!” come se fino al giorno prima non ci avesse mai pensato, coetanei molto differenti in questo senso a livello di impegno.

Te lo chiedevo perché quest’anno, anche con l’uscita di due compilation in Italia per la causa palestinese come quelle fatte da Andrea Pomini e Love Boat e da Jonathan Clancy e Maple Death con molti gruppi a schierarsi, c’era fondamentalmente musica che sia tu che io possiamo ascoltare senza ricondurre ad un’ottica politica, impegnata. Cosi facendo scateni un dibattito e delle domande che, con il totale deficit di attenzione che vige oggi, ci passerebbero fra le orecchie senza lasciare segno mentre così ti costringe alla riflessione. Il risvegliare su temi ed avvenimenti è compito di in arte che rappresenta la società ed il presente. Questo considerando come certa musica dark ed industrial, storicamente, per livello di fascinazione ha giocato su ottiche brutali, quindi ben venga che ogni tanto ci si soffermi anche su questo. Quando hai composto l’album? 

Fine 2022 terminando nell’estate 2023.

Produci tanto? Sei un accumulatore?

Seriale… ultimamente in realtà non sto facendo molto, visto che sto lavorando in pasticceria e sto buttando molta energia sul disco e sulla promozione. Il mio studio è un macello e non riesco ad entrarci senza vomitare, sono arrivato un pochino al limite. Ma ho già molte cose come Placenta… arrivare alle dodici tracce del disco è stata una soddisfazione,  anche vederle divise a sei per lato! Poi c’è stato un lungo lavoro di mix e master, la ricerca delle etichette, l’organizzazione del tutto che ha portato ad un uscita un po’ tardiva, le ultime cose che ho registrato sono state le voci di “Settembre Nero”, registrate ad agosto 2023, poi il mixaggio che ha preso diverso tempo perché per me era una musica nuova e differente da quella con la quale sono abituato a mettere le mani. Con Spirale  avevamo altre persone ad occuparsi di questo, io ho sempre lavorato con il digitale e per le mie cose con una musica ambient o noise c’era più un discorso fra suono analogico e campioni digitali. È stato ostico avere a che fare con le batterie e le sequenze ritmiche, tutte le mie chitarre riportate e distrutte nel campionatore, riuscendo comunque a chiudere tutto da solo.

Quindi sei pasticcere anche?

No, faccio le consegne in realtà!

Sei il ragazzo delle consegne? Immagine inquietante quella di ragazzo delle consegne e musicista noise, fantastico. Concerti in vista?

Mi sono mosso piuttosto tardi e sto lavorando per delle date tra febbraio e marzo, ho alcuni ganci, la mia idea è quella di partire dal sud, l’anno scorso ho suonato al Teatro Coppola a Catania che è stupendo. Partire da lì fino ad arrivare a Berlino, sto cercando di piazzare delle cose, anche se di definito non c’è nulla. Ci sarà però la reunion degli Spirale a gennaio,:faremo il primo live dopo sette anni, poi apriremo ai Buñuel al Circolo Dong di Macerata, sono contento anche perché con Franz Valente ci siamo conosciuti anni fa. Eravamo stati prodotti da Gionata Mirai sempre del Teatro degli Orrori mentre con Franz ci era capitato di suonare in un festival di improvvisazione, il Discomfort Dispatch, quindi siamo molto contenti di riallineare le cose con il rock.

Materiale nuovo o repertorio?

Entrambe le cose, sono molto felice. Suonare da solo è bello ed è una condizione intima ma per quanto mi riguarda, soprattutto per quello che è venuto dopo a mio nome (non tanto con i Vacuum Templi, che comunque erano paralleli a Spirale), con la pandemia, ho passato due-tre anni senza suonare ed ho sofferto. Vorrei dimenticare l’alienazione del suonare soli. Fabrizio e Giorgio (gli altri due Spirale) sono musicisti che ho sempre stimato e non potrei essere più felice di così. Andremo comunque con calma, vedremo cosa succederà, vorremmo prenderla a chicchi visti i nostri impegni, da parte mia sarei super contento di registrare un altro disco e di suonare in tour, quindi si vedrà!