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OKKULTOKRATI, Raspberry Dawn

Provenienti da Oslo, gli Okkultokrati sono un nome che difficilmente potrete ignorare se ascoltate musica estrema ma volete ogni tanto superare gli steccati in cui molto spesso si muove. Il loro oscuro mix di black metal primordiale (Bathory e Beherit), sludge, punk e dark new wave mi ha davvero colpito. Le atmosfere decadenti e fumose che hanno saputo creare tramite questi otto pezzi sono quanto di più ammaliante e affascinante abbia ascoltato negli ultimi tempi. Il loro suono freddo e sulfureo, ma anche sognante, avvolge e inebria davvero. Attenzione, però: qui a darvi alla testa non sarà qualche caldo profumo esotico, verrete invece inondati da nero colante e magmatico, in un maelstrom di oscurità e perdizione. Sì, perché gli Okkultokrati amano dilettarsi nel parlare di morte, occultismo (ovviamente), far sparire cadaveri, sesso e droghe. Un bel quadretto, non ho nulla da obiettare. Un’atmosfera marcia e funebre nei momenti più spinti, quasi eterea in quelli più aulici. Anche in questo caso, però, non aspettatevi nulla di zuccheroso o di melenso. Infatti sanno fare molto male anche negli stacchi più darkeggianti e new wave, sprigionando un senso di disagio che vi abbraccerà nella sua interezza. Il suono della batteria è secco e preciso, quasi un omaggio a quella scena industrial dark degli anni Ottanta che credo proprio il gruppo conosca molto bene. La voce è malefica e ingannatrice, l’ideale per accompagnarvi in questo viaggio dove nulla è come sembra. Il riffing è ferale ma allo stesso tempo dolce come una caramella avvelenata. Il basso è pulsante e malato. La presenza delle tastiere conferisce al tutto quel senso etereo e sospeso tra inferno e paradiso. Pensare che se il chitarrista Black Race non si fosse infortunato permanentemente a una mano, molto probabilmente non avremmo avuto Raspberry Dawn…