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M. GEDDES GENGRAS, Interior Architecture

mgeddes

I sintetizzatori modulari sono da tempo di gran moda tra chi fa musica, con quell’aria da scienziato genialoide che conferiscono solo a metterci mano, al contrario dei normali synth a tastiera che, invece, fanno subito pianobar anni Ottanta. Certo è che, in mani sbagliate, cavi e cavetti possono dar luogo a risultati poco felici, se non addirittura imbarazzanti: più di qualcuno ricorderà l’estenuante performance di un imbolsito Billy Corgan, risalente a un paio di anni fa.

Geddes Gengras rimane di certo al di sopra di ogni sospetto, se si parla di moda, perché si dedica da tempo allo studio dei macchinari e alla sua applicazione pratica nei suoi molti progetti (Robedoor, Pocahaunted e L.A. Vampires, solo per citare quelli che hanno fatto più rumore). La sua è musica generativa, che viaggia a metà fra il comporre e l’improvvisare, in cui l’interazione fra l’uomo e la macchina gioca un ruolo fondamentale; in tutto questo qualcosa sembra sempre eludere il controllo umano e quasi prendere vita propria. Più che scienza, quindi, è fantascienza. Interior Architecture è stato composto, registrato e assemblato durante un arco temporale di sei anni fra California, Connecticut e Olanda. Nonostante gli spostamenti, pare che un po’ di sole della California sia rimasto sempre appiccicato agli occhi di Geddes Gengras, dato che il disco è pervaso in buona parte da una luce abbacinante al di sotto della quale il suo artefice costruisce un impalcatura di elettronica umorale che sembra azzerare i paesaggi distopici dei Robedoor. Si tratta di un  lavoro molto lungo, quattro facciate divise in momenti diversi, senza però soluzione di continuità, per un totale di oltre settanta minuti nel corso dei quali Geddes Gengras fluttua serafico con le sue macchine sulla scia luminosa, lasciandosi cadere qua e là in fluidi caldi ed accoglienti. Estasi e contemplazione nel primo disco si alternano ad armonie e disarmonie piovute da un altro pianeta che, lentamente, finiscono per accartocciarsi su loro stesse. La grande forza di questo musicista è quella di fondere impeccabilmente le varie trovate, cambiando scenario, anche all’interno della stessa traccia, in maniera quasi impercettibile. Il secondo vinile è più volubile, fra il lato C, in cui i detriti sonori si impastano con il clarinetto di Seth Kasselman, e l’ultima facciata, dove sembra di ascoltare vaporwave suonata da una tribù sopravvissuta al fallout nucleare.

Interior Architecture si rivolge a chi è già abituato ad un certo tipo di ascolti estesi, che hanno nella stratificazione e nella ciclicità il loro carattere peculiare; esce oggi su doppio vinile, pubblicato da una piccola etichetta di Memphis, la Intercoastal Artists.