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TSO, In-sanity

TSO

È appena uscito un nuovo singolo dei Lush, “Out Of Control”, e ci sono gruppi shoegaze persino su Relapse. Il noise rock torna con Whores, Rabbits e compagnia orrenda, lo stoner non se n’è mai andato. C’è un’altra storia dei Novanta da proseguire e alla quale, per vari motivi, sarebbe forse bello trovare un finale alternativo: quella del “grunge” su Sub Pop e SST, prima dell’esplosione mondiale dei Nirvana, cioè prima che la giornalista americana Gina Arnold potesse dire “abbiamo vinto!”, come racconta Michael Azerrad in “Our Band Could Be Your Life”. No, non è una fiaba e non toccherà ai TSO cambiare il corso degli eventi, anzitutto per ragioni geografiche, dato che, come altre ottime nuove band, hanno base in una marginalissima Trieste, la città col vento che fa impazzire tutti (da qui il nome del gruppo, sigla di “Trattamento Sanitario Obbligatorio”, e il titolo dell’album). Rimane il fatto, però, che In-sanity è un buon lavoro, con sei pezzi forti e nessun riempitivo, registrato senza “photoshoppare” troppo ma non per questo senz’attenzione, e suonato da gente già sufficientemente esperta, basta pensare al passaggio del chitarrista-cantante Andrea Abbrescia per una band come i Love In Elevator. Siamo pur sempre nel 2016, dunque i tre declinano in modo personale e non troppo nostalgico quello che alla fin fine è (era) un non-genere: ci mettono più blues, più ricami di chitarra e cambiano spesso passo senza fossilizzarsi sul tema principale dei pezzi (penso alla fuga stoner di “The Big What”). Rimane, ovviamente, quel suono storto che ha scartavetrato le orecchie di una generazione, abbinato alla voce che serviva: coi vecchi della ‘zine abbiamo fatto il gioco delle influenze e sono saltati fuori Alice In Chains, il blues (come si diceva) ma anche l’Americana, frammenti QOTSA e persino Jane’s Addiction. Interessante – dato che in certi contesti aiuta – come il termine ricorrente durante la discussione fosse “onestà”. Buona fortuna.