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THE RITE, Liturgy Of The Black

Tra le varie cose uscite per Iron Bonehead quest’anno, una nota di merito va al disco di debutto dei The Rite. Per chi non li conoscesse, non stiamo parlando di un gruppo con degli “ultimi arrivati”, ma di gente che da anni porta avanti un discorso sotto l’insegna del marchio nero. Questo progetto è nato dalla collaborazione tra il cantante dei mai troppo celebrati Denial Of God (dei quali segnaliamo l’ultimo The Hallow Mass) e A.th dei Black Oath al basso (lo abbiamo anche intervistato, tempo fa), che negli ultimi tempi ha fatto uscire altri progetti paralleli come Morbid Sacrifice, 13th Ceremony, NUN e Coven Of Impurity. Alla seconda chitarra e alla batteria ci sono rispettivamente Gabriel e Priest G., che militano in altre formazioni lombarde come gli stessi Black Oath, Extirpation e Krossburst.

Il sound proposto dal quartetto è un black metal molto primordiale, basato su dei riff molto semplici ma efficaci, con qualche venatura doom ogni tanto. Dimenticatevi la Norvegia, perché le influenze principali sono quelle che poi trovate anche nelle band di provenienza dei musicisti coinvolti: Bathory del periodo satanico, Venom, Mercyful Fate, Death SS ed Hellhammer. Dopo aver fatto un buon ep, The Broken Fires, e un demo, The First Sin, sono arrivati al primo album, in cui sono presenti entrambe le tracce del demo, “Necromancy” e “Trespassing The Chapel”. Rispetto a queste prime due uscite, a livello compositivo sono migliorati e le canzoni, seppur non molto memorabili di per sé, sono di gran lunga più godibili, specie il singolo estratto “The Black Effigy”. Il risultato è un incrocio tra Denial Of God e primi Black Oath (vedi il debutto The Third Aeon). Sembra che A.Th abbia preferito usare questi riff più minimali per The Rite, tenendo quelli più elaborati per il suo progetto d’origine, come si evince dall’ultimo Behold The Abyss. La produzione, molto buona, è merito del Toxic Basement Studio.

Seppur non innovativo, Liturgy Of The Black è un bel disco, che trova nel suo essere così primordiale il suo punto di forza. In tutto questo, riesce anche a risultare personale e a non suonare come l’ennesimo lavoro black metal che viene buttato nel mucchio senza lasciare niente. Molto consigliato ai fan di entrambi i gruppi sopra citati e a chi cerca un buon album nel genere che non sia fatto di scream acuti, tappeti di blastbeat e riff a plettrata alternata, la media dello stile scandinavo.