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SPARKLE IN GREY, Brahim Izdag

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La band di Matteo Uggeri, Alberto Carozzi, Franz Krostopovic e Cristiano Lupo è una di quelle entità che non sai mai come circoscrivere, intendo proprio quanto a suono usato e a direzioni stilistiche intraprese, diverse da disco a disco. Di solito questo fa rima con originalità, ma nei casi peggiori (non il loro) con confusione. Sottolineata questa peculiarità, va aggiunto che questa volta la band se n’è uscita con un discorso tagliato su di un concept “politico”: i titoli parlano chiaro, dato che menzionano la necessaria e sacrosanta integrazione sociale tra i popoli, tema caldo dell’Europa di questi ultimi anni. Se l’apertura pare un’estrema sintesi di quello che si andrà a proporre nei pezzi restanti (inizio muscolare e ritmico, archi sostenuti e generale incedere quasi combat-rock), via via questo Brahim Izdag cambia traiettorie con inaspettate deviazioni (le parti esasperate di chitarra di “Gobbastan Pt1” e “Pt2”, le dissonanze di “Song For Clair Patterson”), pur rimanendo all’interno di un canovaccio melodico che di fatto caratterizza il tutto (la vicinanza a certe uscite prog-rock dei Settanta per dire). Come in passato, la band sembra confermare la propensione ad assumere come base un unico tema da rielaborare in mille sfumature e fino allo sfinimento (in “Grey Riot” si permettono il lusso di avvicinarsi alle sonorità dei Chumbawamba, in salsa ancora più folk-rock). Brahim Izdag non è pubblicazione facile, l’avrete capito (paradossalmente Perversions Of The Aging Savant, coi Controlled Bleeding, era più immediato, per quanto a suo modo “folle”), ma di base rimane un esercizio debitamente pensato, perfettamente suonato e prodotto con certosina passione. Prendere o lasciare.