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PYRIOR, Fusion

PYRIOR, Fusion

Il nuovo album in studio dei Pyrior esce a ben quattro anni di distanza dal precedente e conferma una formazione in stato di grazia, capace di regalarci un lavoro solido, compatto e privo di scalfitture, coerente con la cifra stilistica a cui il gruppo ci ha abituato nel corso degli anni. Rispetto al passato non ci sono significative variazioni, le coordinate di riferimento del loro sound sono sempre le stesse: lo psychedelic rock dei Sessanta, lo space rock e il krautrock dei Settanta, lo stoner e il post-rock. Ancora una volta risuona forte l’eco dei Grateful Dead, degli Hawkwind, dei Tangerine Dream, dei Monster Magnet e dei Nebula. Nove episodi marcati da un continuo gioco di tensione e rilascio e scanditi da un’alternanza di riff incendiari, intrisi di fuzz e dall’incedere marziale, e improvvise dilatazioni oniriche che puntano dritte verso l’infinità del cosmo. L’impalcatura sonora complessiva ruota intorno a quest’alchimia tra pesantezza e ipnoticità astrale, condensando un sound visionario e allo stesso tempo monolitico ed heavy. Atmosfere fluidamente psichedeliche avvolgono l’ascoltatore e lo tengono sospeso tra la realtà e il sogno; espandono la sua percezione e la sua coscienza guidandolo verso un’estasi mistica. Nascoste tra i solchi di questo disco si trovano pure alcune brevi composizioni per chitarra acustica che gli conferiscono ulteriore lirismo, scandendo pochi e semplici accordi dalla fluttuante leggerezza; deboli flussi di coscienza appena sussurrati che disegnano paesaggi sonori surreali, dall’orizzonte sconfinato e dalle tinte pastello. Con questo nuovo capitolo, insomma, il trio di Berlino ha fatto ancora una volta centro, confermandosi come una delle realtà più interessanti nel panorama heavy-psych-stoner rock attuale. Adesso aspettiamo solo di vederli live.