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METZENGERSTEIN + IOIOI

Nella mia mente il nome Metzengerstein è legato al ricordo della varicella. La maggior parte delle persone potrebbe associare la fastidiosa malattia esantematica tutt’al più a qualche sigla di cartone animato: il fatto è che io me la sono beccata pochi anni or sono. La band fiorentina, che nel calderone dell’Italian Occult Psychedelia è fra i frutti più avvelenati, nel 2014 partecipa alla seconda edizione del Thalassa, il festival romano dedicato a quelle sonorità cupe e al contempo roventi che da un po’ di tempo destano l’interesse di un sempre più vasto pubblico, anche a livello internazionale. Proprio durante la rassegna, poco prima che i toscani salissero (si fa per dire, i live hanno luogo nel ventre del Dal Verme) sul palco, le orribili pustole mi segnalavano l’insorgere della malattia: di qui la stramba associazione mentale.

Provenienti dal collettivo Ambient-Noise Session, all’epoca i Metzengerstein avevano all’attivo un solo album, Albero Specchio, pubblicato su nastro dalla Sonic Meditations di Justin Wright, meglio conosciuto come Expo 70 (in una tiratura molto limitata, esiste anche una ristampa su vinile verde molto bella della salernitana HARSH). La scintilla fra i Metzengerstein e gli Stati Uniti pare essere scoccata nuovamente: questa volta tocca a Split Banana Records, piccola tape label californiana. I Metzengerstein hanno mantenuto nel tempo un’identità multiforme e aperta ad apporti esterni e collaborazioni: questa volta il sound del gruppo è corroborato, nelle prime tre tracce, dall’insano talento di IOIOI, al secolo Cristiana Fraticelli, musicista maceratese con una spiccata propensione per il rumorismo e le tonalità cupe, che ben si sposa con gli umori della band. Le tracce contenute mettono in risalto come quella della band sia una musica dolorosa, che sembra attingere ai recessi più bui dell’animo umano, alimentandosi di paure e risentimenti. Gli episodi che vedono la presenza di IOIOI risalgono al 2013 e sono i più affascinanti: si presentano come visioni notturne, incubi psichedelici funestati da voci deformi, caratterizzati da un incedere spossato e dai rintocchi venefici della batteria. Le tracce restanti mettono in risalto le possibilità espressive del gruppo: “Pass Down” è musica da meditazione che fa capolino, appena sbozzata, fra tonfi e rumori metallici, è sporca e solcata da lingue arcane, sempre sul punto di librarsi in volo ma in realtà saldamente zavorrata al drone; “Sitar B” è una lunga drogatissima tirata in cui sullo strumento indiano, strada facendo, s’incardinano basso, pezzi di batteria e chitarra con tanto di wah wah d’ordinanza. Le ultime due tracce, più recenti, sono il noise criptico e petulante di “Untitled” e i bordoni di organo apocalittico di “Crumar”.

Il nastro ha una tiratura limitata a 50 copie: per quanto ricavato da ritagli risalenti a periodi diversi, sembra comunque frutto di una selezione attenta, ha una sua coesione e il pregio di restituirci dei Metzengerstein sottilmente differenti, meno krauti e più rarefatti. Più tossici del solito, se possibile.