ALDO BECCA, Dali – con full stream della prima parte e video di “Tulipano Giallo”

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Un carillon rotto, ricordi di infanzia, una melodia minima ed essenziale su una tastiera sdentata da rigattiere, ridere mentre il mondo fuori fa tempesta, strati di loop semplici ma perfettamente accatastati come un miracoloso shangai di sguardi a riempire il cuore, le stanze: “Tulipano Giallo” è un centro pieno ed è il primo pezzo di Dali, il nuovo lavoro del folkster eretico Aldo Becca (folk di una fine, come lessi anni fa su Blow Up non ricordo ora a proposito di chi, un folk tutto immaginario ed aperto, felicemente attraversato da mille feroci, delicatissime interferenze; folk mentale, rurale ed elettroacustico, folk come quello di un Beck degli inizi meno sbruffone ed arreso alle sue malinconie): una nenia su cui fiorisce una voce femminile che legge una poesia scritta da un sconosciuto… Potesse ritornare il cuore mio / come vela verso un’isola di sole / Finito il tempo nostro all’improvviso / e l’eco del suo schianto io ora vivo. Memorie potenti perché imperiture e fragilissime, riportate alla luce dopo aver scavato sotto la cenere inesorabile del tempo, con “Vai Con La Poesia (Dell’Altra Italia)” o con carezze d’amore come “Chiave Di Volta”, che rischia la banalità ma ha un arrangiamento trafitto da field recordings che la fa virare lontana dalle secche del risaputo: echi di un Drake adriatico ne Il mare, una pozzanghera, con lampi di ispirazione nel testo, come in ogni pezzo (Febbraio di sole che brilla un po’ a vanvera). O ancora come la meditabonda “Fuoco Nero (Fidèl)”, a confermare il sospetto che questi pezzi siano una risposta dopo vent’anni a quel capolavoro che fu il primo disco di David Pajo come Aerial M.

Ogni canzone pare provenire da un altrove nebbioso eppure familiare, sono storie di ieri come favole incise su un registratore a cassette e gelosamente custodite in cantina. Tracce che non hanno paura del tempo che tutto divora e corrode, ma ne costituiscono anzi parte integrante e fondante, come fossero dei blues raccolti nelle stanze di un drop out delle terre basse o esercizi di psicofonologia. Musiche che della loro imperfezione e della loro sporcizia fanno una sorta di dichiarazione di intenti, come un Daniel Johnston meno intrippato con le melodie a presa rapida e più minimale. Tra miniature brevi e brevissime e finestre semielettroniche aperte su un ignoto (“Sguardo Sul Mezzogiorno”, con l’irlandese David Colohan di United Bible Studies e Pietro Bonanno) troviamo canzoni che si reggono su una gamba sola (Seguiti a mutilarti qui / e tu a chiedermi che farai del tuo futuro) e sanno zoppicare benissimo, nitide e piccole, antiche, polverose, eppure mai scontate. “Da Lì, Poli Tic, Mai Ali” è uno sputo irridente che sa di Captain Beefheart, un blues da ricovero che si spalanca su mondi di ambient stupefatta e fumosa, come un glitch domestico e rurale che poi torna nel Delta per finire a perdersi in un drone minaccioso e ambiguo nella risata finale: ottimo. “Esplosione Di Una Bolla Di Sapone” ha lo stesso tocco espanso di certi Gastr Del Sol, le voci degli uccelli dialogano perfettamente con le chitarre, “Un Re Che Non È” è una pepita  di un gospel tutto personale, bianchissima e nera: in questo Aldo è molto bravo, nel rendere il proprio mondo universale e tangibile, basta sapersi sintonizzare, trovare interessanti i fruscii della memoria, divertirsi nello scovare i suoni, sapere che la realtà è sempre più di quello che si vede e sempre meno di quello che si vorrà. “D’ali” è quasi pop – e perché no? – la melodia è di quelle istantanee, il cuore gronda e si sente, ti parla da una ferita questa canzone, e io la sento così forse perché ho avuto una ferita simile, chissà, siamo tutti animali in cerca di riparo, alla fine dei conti, e ciò che conta è saper distinguere tra chi se la mena e finge pose per fare fotografie e chi invece è vero, sincero, e pazienza se questa è retorica, perché a tutti noi serve un po’ di retorica. Ci serve per costruire la nostra piccola mitologia personale, non affogare nell’entropia del cinismo e far finalmente risplendere sotto un sole atomico le nostre bellissime cicatrici. “16/8  Da Principio” è un suono di specchi rotti, e-bow, precipizi, voragini, vertigini, epifanie à la Brian Eno, a chiudere nel silenzio un disco di un musicista veramente freak nel miglior senso del termine, nascosto, necessario e prezioso.

Dali esce in formato USB il 15 dicembre per Ribéss Records e RLO Records. Qui sotto c’è lo streaming della prima parte. Domani troverete la seconda su Sodapop. Dopodomani la terza su Sentireascoltare. Il 2 avrete la quarta su Ondarock.