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TOMAGA, Intimate Immensity

Due anni fa ero al Festival International de Musique Actuelle de Victoriaville, a oggi una delle realtà più importanti a livello mondiale per quanto riguarda le musiche di avanguardia e di ricerca. Dopo il meraviglioso concerto in solo del contrabbassista Barre Phillips e quello del trio spacca orecchie di Keiji Haino, Peter Brötzmann e Heather Leigh, guardando sul programma, lessi il nome Tomaga. Il duo per metà italiano si sarebbe esibito più tardi, di loro non sapevo assolutamente nulla.  In quella lunga giornata, nessuno dei miei ospiti intese fermarsi per assistere alla parte più “notturna” del festival, per cui mi persi il concerto. Da quel momento, però, iniziai ad appassionarmi al lavoro del duo di Tom Releen e Valentina Magaletti, come un curioso investigatore: la loro musica oscura e ripetitiva mi avrebbe contagiato come un punto di domanda, una sfida…

Parliamo ora di Intimate Immensity. Il lavoro più comunicativo e diretto nella discografia dei Tomaga è anche il loro capitolo finale: Tom Releen ha lasciato questo mondo nell’agosto del 2020, a 42 anni. Percussioni al sapore di steel drum introducono senza indugi “Idioma”, una cavalcata preziosa e fantascientifica nelle infinite possibilità di reiterazione e microvariazione ritmica. “Mompfie Has To Pay” prosegue il discorso in modo analogo, senza lasciare il tempo di riprendere il respiro, si immerge nel liquido amniotico blu di Tomaga. Il drumming di Valentina Magaletti costruisce, monta e mescola per poi sgretolarsi, senza mai pagare in cliché il prezzo di un approccio improvvisativo mai dispersivo, delicato e al tempo stesso solido. “The Snake” rimescola le carte, racconta cadenzando un incedere inesorabile e le melodie di Tom sono disegni colorati, proiettati su panorami immaginari, sognati. “Very Never” ci eleva oltre la volta celeste: la voce di Cathy Lucas è una sospensione leggera, ricorda la Laurie Anderson migliore, fluttuando sull’irrisoluta musica del duo. “More Flowers” riprende con un battito d’ali il discorso iniziato con le prime tracce dell’album: un ritmo incessante, sostenuto da tappeti di synth, un basso dub più che sinistro e non una nota che non sia esattamente al posto giusto (anche quando non lo è).”King Of Naples” dimezza il tempo e affonda il colpo, un incedere inesorabile, pulsante e vibrante (è facile immaginarli insieme a Raiz come nelle migliori produzioni Almamegretta). L’ingresso del basso di Tom è stupefacente. “Non Sia Mai” mi riporta ai dischi del duo che ho amato scoprire lentamente: i timpani di Valentina scandiscono un ritmo funereo, il resto è magia, ricami di spettri e flauto, rumori improvvisi e una sirena di un porto avvolto dalla nebbia. “British Wildlife” dimentica ogni possibilità melodica o armonica, solo feedback e rumori intrecciati su una figura ritmica intensissima, scie di drone che scuotono scampanellii come punti di sospensione. “Reverie For Fragile Houseplants”: un ep degli Stereolab aveva “reverie” nel suo titolo e non mi sorprendo nel citarli parlando di questo disco, perché qui si trova una fantasticheria lisergica sotto forma di elettronica arpeggiata, sommessa e sbilanciata da una percussione filtrata e zoppicante. “Intimate Immensity” è il saluto finale, perfetto e romantico (veramente!), lucido specchio di questo disco suonato, sognato, pensato e registrato nel “bunker” di Tom Releen, il suo “home studio” a Londra.

Sono in attesa della mia copia del vinile acquistato in pre-order su Bandcamp, non vedo l’ora di poterlo tenere tra le mani e immaginare di essere stato a un loro concerto in una qualche realtà parallela.