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SCOUR, Red

Cosa non si è già detto, scritto e soprattutto ascoltato di Phil Anselmo? Quando non si lascia andare a dichiarazioni sopra le righe riesce ancora a creare musica di qualità, come nel caso di questi Scour. Giunta al secondo minialbum in poco meno di un anno, la band capitanata dal cantante di New Orleans e composta da mostri sacri della scena estrema statunitense (gente che proviene da Pig Destroyer, Cattle Decapitation, Misery Index e Continuum), scrive sei canzoni di furioso black metal anni Novanta. Niente di trascendentale, ma comunque ben suonato ed ispirato. Gli Scour, insomma, non vogliono sorprendere l’ascoltatore, ma rendere omaggio a quella scena nordeuropea che il loro frontman non ha mai nascosto di amare: durante i quindici minuti di Red si possono scorgere rimandi ai Dark Funeral e ai primi, caustici Marduk, niente divagazioni atmosferiche, si cerca di essere solo il più violenti possibile. La melodia delle chitarre, d’altro canto, arricchisce il vorticoso manifesto sonoro del gruppo con tipici arpeggi di metal classico cari ai Mercyful Fate. Rompe lo schema la strumentale “Sentenced”, durante la quale echi lugubri di musica da film della Hammer preparano alla mazzata finale “Shank”, forse la canzone più veloce ed ortodossa del lotto. Phil riesce ancora a passare con versatilità da scream disumani a parti in growl catacombali, regalando ancora dinamicità all’insieme. Inoltre, la militanza degli altri musicisti in ambienti death grind core si fa sentire, perché alcune parti sembrano uscite dalle prove dei Pig Destroyer o degli Agoraphobic Nosebleed. In Red, però, queste ultime sono rese ancora più oscure dall’atmosfera glaciale creata dall’impianto generale black metal del progetto. Peccato solo che Red non sia un album intero. E sarebbe un peccato anche se Scour finisse per essere l’ennesimo progetto accantonato da Anselmo.