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NIMH, Circles Of The Vain Prayers

NIMH1

In molti suoi album Nimh (Giuseppe Verticchio) suona strumenti musicali asiatici, specie quelli provenienti dalla Thailandia, un Paese che torna spesso nei suoi lavori, in varie forme, ad esempio come registrazione sul campo. Qui abbiamo il Khlui (un flauto), lo Tzeebu e il Rawap (a corda), il Tombak (percussione)  e dei campanelli tibetani. Si trovano accanto a piano, violino, metalli, oggetti vari e musica concreta, e vengono messi in loop, probabilmente perché la continua, quasi rituale reiterazione di un tema stacca il cervello da ciò che gli accade intorno, portandolo a credere di trovarsi in una realtà altra, magari sacra (ma è tutto inutile, o almeno così pare dica il titolo).

Apre il disco proprio la torrida “Circles Of The Vain Prayers”, che ci teletrasporta subito in un Altrove sempre riconoscibile come “orientale”, le successive due proseguono il discorso aggiungendo campioni vocali e variando il mix strumentale, conservando le ripetizioni stordenti che si accavallano le une sulle altre (mi viene da dire confondendo un po’ di più anche le coordinate geografiche, ma è molto soggettiva questa cosa). Chiude il discorso molto più soavemente “Srivatsa”, cioè “il nodo dell’eternità” buddhista, quello che non sai da dove inizia, quindi i “cerchi” usati per la costruzione dei brani sono espressione di un’idea iniziale ben precisa. Una curiosità: verso la fine di quest’ultima traccia Verticchio fa emergere dal mix – lasciandolo poi da solo – il loop di qualcosa che va in frantumi e si sbriciola, così il pezzo e il disco si concludono come se fossero uno dei disintegration loops di Basinski (1).

L’album si lascia ascoltare più volte, confermando il valore di Giuseppe/Nimh e la sua capacità di rimettersi almeno sempre un po’ in gioco (penso anche al recente progetto parallelo Twist Of Fate). Prima, per quanto ne so o ricordo, nella sua discografia non c’era ancora stato un episodio così “mantrico”. Né il “dialogo” con l’Oriente, né l’impostazione minimalista o ciclica suonano nuovi, ma non sottovaluterei manco per sogno quest’album, che purtroppo sta solo facendo il giro dei consueti posti sicuri. Dopo anni c’è evidenza empirica che qualcuno sta sbagliando qualcosa, forse l’etichetta/le etichette, forse gli artisti (non c’entra solo Giuseppe) e forse chi da anni scrive/fa scrivere di queste cose senza creare nuovo pubblico, ma predicando ai convertiti (e dire che noi siamo multi-genere apposta, ma a questo punto non basta…).

Consigliato, come sempre.

(1) So che Giuseppe non ha imitato William Basinski (nemmeno il contrario, ma grazie per avermelo chiesto) e non ne ha subito le influenze. Nota dedicata a chi nell’ambiente vorrebbe solo stare qui a (ri)leggere un dettato.


Tracklist

01. Circles Of The Vain Prayers
02. Touching The End
03. Violating The Limits
04. Srivatsa