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NATIVE SPEAKER, Native Speaker

NATIVE SPEAKER, Native Speaker

Pittoresca quanto ineffabile, la campestre immagine di copertina protagonizzata da un placido ruminante (per di più provvisto di “trumpesca” capigliatura) ha poco a che fare, ed anticipare, nel suo tratto faceto, con la musicalità ivi confezionata, che nel sentire del leader Natalio Sued sembra invece affare serio ed impegnato.

Per il tenorista e clarinettista argentino, naturalizzato sulla scena di Amsterdam, solidità idiomatica e quadrature strutturali non ostano ad uno spirito apertamente provocatorio, come esplicitato dalla sua bruciante ancia tenore, servita con palpabile intesa dalla partecipante sezione ritmica, il tumultuoso quanto elastico drumming di Tristan Remfrow nonché lo scavo profondo e la nerboruta pulsazione bassa di Matt Adomeit, affiancati in quattro tracce dalle corde elettriche di Guillermo Celano, ed il comune linguaggio si palesa con assortito mood nella calligrafia spessa e l’articolato interplay della band lungo le dodici estensioni di Native Speaker.

Amo comporre avendo in mente qualcosa che non sia soltanto un’idea musicale e tutti i brani di quest’album contengono ispirazioni sia musicali che extra-musicali, così introduce Sued. E, considerandomi una persona facilmente impressionabile, ho ritenuto di tributare il dovuto a molte delle mie influenze nel suonare, così come nell’ascoltare, nel leggere e sostanzialmente nel mio vivere in questo mondo. Cosicché non soltanto nei titoli quanto musicalmente in concreto non si manca di palesare tributi a differenti, iconiche figure, come rappresentato in “Ornette”, agile e spedito passaggio di ficcante spirito colemaniano, e quindi “Steve Y Wonder”, insolitamente frizzante ma con ben pochi riferimenti al mondo pop, concedendosi anche gusto per la bizzarria (“Ana Maria Cucu”) e brillante baldanza come in “In Two Words” e nelle esoticheggianti fioriture della “nativa” “Coyoacan”.

Della stringata quanto funzionale formazione non enfatizzeremmo più di tanto, alla luce delle generali e correnti esperienze, le vocazioni “trasgressive” rilevando piuttosto come il ponderato prodotto rischi alquanto di smarrirsi entro la pletorica offerta discografica odierna, ma possiamo attestarne la credibilità e la palese preparazione nell’inscenare un agitante programma connotato da strutturata movimentazione estetica e spirito partecipativo.