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LUCERTULAS, Anatomyak

Lucertulas

Si parla ancora una volta della Venezia-core, ma ci spostiamo verso sonorità più noise-rock, dato che oggi tocca all’ultima fatica dei Lucertulas, oltre che di Macina Dischi. Impossibile non spendere anzitutto qualche buona parola sull’etichetta padovana, che più di chiunque altro ha riportato in vita un genere ed ha tracciato alcune linee guida stilistiche che poi hanno caratterizzato tutta una scena, inquinando il Nord-Est come le industrie venete fanno con l’acqua, ma nel caso specifico i disastri causati ci piacciono. Macina Dischi, tra le altre cose, ha messo in piedi un ciclo di edizioni a dir poco incredibili, le cosiddette “Aluminium Series”, nelle quali una custodia (appunto) di alluminio opportunamente inciso contiene un vinile 10’’, stavolta pure splatterato e serigrafato. Anatomyak, comunque, esiste anche in cd, in collaborazione con Robot Radio.

I Lucertulas hanno subito vari cambi di formazione negli ultimi anni, e ciò ha contribuito a far evolvere il loro stile, una maturazione molto evidente in quest’album, ma regolata in modo da non alzare un muro davanti alle musiche suonate in precedenza. Il disco, infatti, appare come un passaggio dalle vecchie martellate (comunque presenti) a un universo di sfumature più ampie, forse più melodiche ma non per questo meno grintose. Si oscilla insomma tra novità e pezzi classici, per poi tornare al nuovo suono, che spinge per uscire a gran voce. Il primo assaggio di questa freschezza è dato da “A Good Father”, una traccia che stupisce chiunque abbia ascoltato i dischi vecchi, perché propone una serie di tendenze che prima non caratterizzavano la band. Per quanto possa sembrare assurdo, all’inizio ho pensato ai Kylesa, e intendo in senso positivo, in quanto la voce e la chitarra si mischiano insieme in un impasto omogeneo, lo stesso con il quale la band della Georgia si è sempre firmata; da notare inoltre come la batteria spezzettata percuota tamburi molto più cupi rispetto al passato. Non mancano pezzi più acidi, come si sarà capito, che invece confermano il timbro rumoroso della band: in “The Sailor”, ad esempio, riappaiono le distorsioni noise delle chitarre, che si infiltrano nei timpani e caricano l’atmosfera con cambi graffianti d’umore, poi il suono alla Doomsday Student riprende il sopravvento e viene trascinato ed esasperato nella successiva “Sickness”. Bellissima l’insistente psichedelia malinconica che trasuda da “7”, fino a esplodere in un’epica riproduzione di se stessa. L’oscillazione del disco viene fermata da “Caronte”, che rispecchia la grinta di “A Good Father” mentre fa notare la ripercussione dei passaggi intermedi, mischiandosi anche a ripetitivi ritmi noise rock. “Caronte”, tra l’altro, nasconde un’oscura ghost-track condita di harsh, che avvolge in un fumo misterioso tutto ciò che si era ascoltato finora. Aspettavamo da tempo Anatomyak e ora manca solo il ritorno dal vivo dei Lucertulas. Un disco e un oggetto da possedere.