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MARK EITZEL, Don’t Be A Stranger

Don't Be A Stranger

Che Mark Eitzel sia uno degli uomini più sottovalutati di ogni tempo si potrà dire? Mettiamo di sì, magari restringendo un pochino il campo, dicendo che è un eccezionale autore di canzoni: unico, raffinato musicalmente, ma soprattutto nell’uso delle parole. Purtroppo non se ne parla mai abbastanza: in tutta onestà, mi garberebbe tantissimo uscire la sera e trovare qualcuno con cui discutere degli American Music Club e dei loro dischi, delle loro canzoni così incredibilmente fuori dal tempo e da qualsivoglia logica di mercato: talmente intense, alle volte, da far male, belle a tal punto che non ti spieghi perché Mark Eitzel e compagni non abbiano mai riempito uno stadio in vita loro. Di certo, comunque, il nostro amico californiano non è il tipo da concertini di massa. Ricordo infatti con immenso piacere un live della sua band, al Viper di Firenze nel 2008, dove eravamo davvero in pochi intimi. Forse troppo pochi anche per uno come lui, non certo abituato a grandi numeri: era incazzatissimo per alcuni problemi tecnici, ma dopo un paio di brani le emozioni cominciarono a volare davvero alte, fino a crescere sempre più di pezzo in pezzo. Fu in quel momento che il mio amore per questo signore si consolidò e che realizzai pure che molti dei capolavori degli American Music Club non erano troppo semplici da reperire in giro, se non a prezzi assai insanguinati. Si spera che un giorno tutto questo cambi e che venga dato a Cesare quel che è di Cesare. Intanto, con un sorriso ebete sulle labbra e la giusta dose di lacrime e pelle d’oca, ritrovo il Mark Eitzel di sempre in questa nuovissima prova solista, in realtà non troppo distante da quanto ha fatto in precedenza, ma senz’altro di altissimo valore, superiore alle ultime prove uscite col suo nome sulla copertina.

Non sono certo il giubilo e l’allegria ad attraversare gli undici episodi che prendono parte a Don’t Be A Stranger: disco davvero intimista e, al solito, dannatamente lirico, dove il suo autore si mette a nudo a colpi di poesia, di suggestioni per lo più acustiche e di atmosfere notturne. O autunnali, se proprio vogliamo. “I Love You But You’re Dead” acquista subito il sapore del classico istantaneo: è il suo solito capolavoro, quel concentrato di spleen eitzeliano che aprirebbe il cuore anche al più algido e insensibile degli uomini. Meravigliosa la pianistica “All My Love”, toccanti i morbidi arpeggi di “I Know The Bill Is Due”. In “Costume Characters Face Dangers While At The Workplace” gioca un po’ a fare il Cohen, mentre in “We All Have To Found Our Way To Way Out” ritrova la dimensione piano e voce in una ballata commovente. “Nowhere To Run” è invece la conclusione che ti aspetti per un album così: cullante, delicata, matura e disillusa.

Disillusa lo è tutta quest’ultima opera firmata Mark Eitzel, in cui la perdita, gli amori difficili o impossibili, le amarezze e le sfighe di una vita vengono a galla. Ricordiamoci che poco più d’un anno fa il cuore del cantautore ha provato a fermarsi: per fortuna non ci è riuscito, visto che Mark è ancora qua, sempre a tirar fuori dal cilindro canzoni sublimi. Anche stavolta saremo i soliti quattro gatti ad ascoltarlo, ma, in fondo, mi vien da dire che davvero non è roba per tutti e che forse va bene anche così.

Tracklist 

01. I Love You But You’re Dead
02. I Know The Bill Is Due
03. All My Love
04. Oh Mercy
05. Costumed Characters Face Dangers While At The Workplace
06. Why Are You With Me
07. Lament For Bobo The Clown
08. Break The Champagne
09. We All Have To Find Our Own Way Out
10. Your Waiting
11. Nowhere To Run