KELLY LEE OWENS, Dreamstate

Dreamstate è il quarto album della talentuosa musicista e vocalist gallese. L’immagine di copertina la vede interrompere un movimento, fermandosi per guardarsi intorno, dietro di lei i campi. Chissà cosa avrà attirato lo sguardo di Kelly Lee, di certo i critici e gli ascoltatori più attenti non mancheranno di fare le pulci al suo operato, considerando le aspettative che sulla musicista erano state riposte in questi anni e che, per un motivo o per l’altro, non hanno permesso di incasellarla, perché da sempre in bilico fra avant-elettronica e mondo pop. Tutto questo per dire che anche Dreamstate sembra essere inciso per dividere, forte di una produzione curata da tre pezzi grossi della dance (un Chemical Brothers, il compagno di Charlie XCX e una metà dei Bicep) che mette Kelly Lee al centro della pista. Il pop elettronico che ne scaturisce ha una diretta discendenza dal suono della dance degli anni Novanta, ma è vestito con un abito elegante ed intellettuale, senza mai essere caciarone né volgare. Il crinale di Dreamstate è situato su una vetta altissima, segno di un’ascensione che sceglie di rischiare mettendosi alla mercé delle critiche per un suono leggibile come passatista, plasticaccia. Eppure al suo interno ci sono canzoni toccanti e meravigliose come “Ballad (In The End)”, che sembra la parafrasi della Björk più romantica senza diventarne una copia. Si tratta di porti dove a tratti la gallese sceglie di ormeggiare, per riprendersi e regalare a sé stessa una canzone libera dall’enfasi al ballo: porti come quello dove scopre che “Trust And Desire” potrebbe essere una canzone in grado di far innamorare una persona. Ma questa è un’altra storia, potremmo chiamarla realtà, mentre qui siamo in uno stato onirico e il sogno non è il nostro, bensì quello di Kelly Lee Owens, una musicista che deliberatamente sceglie a volte di incidere delle canzoni bellissime e a volte sceglie semplicemente di divertirsi.