ZU93, Mirror Emperor

Mirror Emperor è l’esito di una collaborazione, iniziata a quanto pare sette anni fa, tra Zu e Current 93, lo storico progetto musicale legato alla persona di David Tibet. Studioso di religioni e pratiche esoteriche, il (non) musicista Tibet gravita dall’inizio degli anni Ottanta nell’orbita di formazioni di peso quali Psychic TV, 23 Skidoo, Nurse With Wound e Death In June: assieme a John Balance, futuro fondatore dei Coil e suo compagno negli Psychic TV, e a Fritz Häaman dei 23 Skidoo dà il via nel 1982 a Current 93, traendo ispirazione dalle teorie dell’occultista Aleister Crowley. Partendo dalle premesse industrial dei primi dischi, Tibet approderà a un folk scuro e inquieto che egli stesso ha contribuito a etichettare come “apocalittico”, aggettivo che ritroviamo ogni volta che si parla della sua musica: il disco di cui ci occupiamo viaggia decisamente in questa direzione. Volendo recuperare il significato genuino del termine “apocalisse”, possiamo definire Mirror Emperor, al pari del resto della discografia dei Current 93, come musica rivelatoria: non a caso la parola ricorrente nei testi di quest’ultimo lp è “awake”, un’esortazione al risveglio, allo scuotersi dal torpore e dalla foschia della non-conoscenza (per quanto risulti curiosamente assonante agli “SVEGLIA!!1!” dei tragici divulgatori di verità nascoste nell’era di internet…).

Nel contempo Mirror Emperor fornisce un’idea del percorso intrapreso dagli ultimi Zu. La band romana, che oggi ruota essenzialmente attorno a Massimo Pupillo e Luca T. Mai, fin dagli esordi si è dimostrata aperta a ibridare la sua peculiare idea di musica, pervenendo nel tempo a collaborazioni anche abbastanza eterodosse rispetto ad essa, come il disco del 2014 con Eugene Robinson degli Oxbow, che per atmosfere e intenzioni si avvicina in un certo senso a quest’ultima uscita. In Mirror Emperor il suono caratteristico degli Zu, supportato dalla chitarra di Stefano Pilia e dagli innesti plumbei di archi, è messo più che mai in discussione ed è ancora meno riconoscibile rispetto all’ultima fatica Jhator: il macigno che rotola lento e inesorabile diventa qui una tremula fiamma dalle tonalità cupe, quella enorme mole di suono che caratterizza il disco dello scorso anno è sostituita da un tetro e, a tratti, amaro sussultare messo al servizio della caratteristica e poliedrica vocalità di Tibet, il quale alterna la dolcezza alla teatralità smaccata e al latrato rabbioso. In risalto più di tutto è il lavoro di Pilia, da un po’ di tempo un membro aggiunto degli Zu, il quale adorna con il suo riconoscibilissimo e prezioso stile chitarristico le scenografie sonore degli altri, oltre che occuparsi del missaggio e della produzione.

Il disco, uscito lo scorso mese per House Of Mythology, pare abbia suscitato l’entusiasmo del maestro dell’horror filosofico Thomas Ligotti, da tempo estimatore dell’opera di David Tibet: ci fidiamo?