ZOLLE, Infesta

Il terzo album degli Zolle, nati da una costola dei pazzi Morkobot, raffigura molto probabilmente il momento in cui i due conducono la loro pesantezza e il loro pestar duro verso lidi sempre più metallici: una chitarra che macina riff su riff (si va dall’hard rock al doom, passando per il thrash metal più oltranzista), supportata da una batteria che spinge e costruisce dinamiche da headbanging sfrenato. Infesta è gioia per le orecchie. E per il cervello. Pur sorreggendosi su strutture molto semplici, le nove canzoni sono delle bombe a mano pronte a esplodere. Irruenza, impatto, veemenza, corna alte, pugni alzati verso il cielo, sperduta campagna, aria aperta e tanto metal: non serve molto ai Zolle per costruire qualcosa che sprigioni l’irriverenza e la violenza del miglior metal estremo, per concezione e per stile. Certo, questa definizione può dire tutto o nulla. Per Infesta è tutto: nel suo turbinare ingloba veramente moltissimi generi, ma non si tratta di un copia-incolla, piuttosto di un incastro cervellotico di atmosfere che hanno groove, mordente e dinamica, un concatenazione emotiva non casuale, bensì sapientemente gestita, di modo che tutte le parti suonino alla perfezione.

Cingolati, trattori, megamacchine che distruggono e frantumano. Orde di maiali infernali, forche roventi che pungolano il deretano dei puristi, pozioni velenose, racconti di spaventapasseri senza testa: sono le immagini che richiamano alla mente queste canzoni degli Zolle. Tutto preso alla leggera. Ma con serietà. Una serietà che fa di questo disco un piccolo gioiellino del sottobosco italiano.

Piccolo particolare insignificante: per creare un muro di suono così virulento bastano una chitarra e una batteria. Una delle band strumentali più pesanti che abbiamo mai ascoltato.