WREN, Groundswells

Ondate sonore e mareggiate di angoscia: questo troviamo in Groundswells, secondo full-length degli inglesi Wren. La prima traccia, “Chromed”, è sufficiente per fornirci la chiave di lettura, quella di un sound roccioso e abrasivo in cui i tratti caratteristici di Neurosis, Cult Of Luna e Isis vengono miscelati con cura.

La lezione dei big del settore è senza dubbio stata ben assorbita da questi ragazzi di Londra, attivi ormai da sette anni e capaci di sviluppare sei brani massicci ed emotivamente coinvolgenti; la sfida di confezionare un lavoro in grado di attirare l’attenzione di una platea più ampia, invece, ci pare riuscita a metà.

Intendiamoci, Groundswells è un disco che non può lasciare indifferenti, grazie al giusto mix tra ritmiche scomposte, riff lisergici e atmosfere rarefatte. Da lodare in particolar modo il lavoro alle pelli di Seb Tull – vero e proprio motore del gruppo e autore di una prova di grande personalità – nonché la produzione perfetta di Scott Evans dei Kowloon Walled City. Si procede in una giungla rumoristica, oscillando tra grovigli caotici di distorsioni (“Crossed Our Species”) e pensose dilatazioni strumentali (“Murmur”), ubriacati dai continui tribalismi della batteria e destabilizzati da strutture sbrindellate e costantemente in procinto di andare in pezzi, salvo poi ricomporsi in rabbiose progressioni. “Seek The Unkindred” e “Subterranean Messiah” sembrano il frutto della ricerca di una sintesi tra il caos dominante e i fuggevoli momenti di languore, riallacciandosi all’esperienza degli Isis di Celestial e Mosquito Control, ancora in bilico tra lo sludge metal più muscolare e le successive aperture verso gli spazi sconfinati del post-metal più puro.

Se da un lato, quindi, gli adoratori della succitata santa trinità del post-metal troveranno pane per i loro denti, non si può negare che le soluzioni adottate, per quanto sempre efficaci nel creare un senso di oppressione e catastrofe imminente, non si discostino da materiale già ampiamente sviscerato negli ultimi anni da una folta schiera di artisti (a cominciare dal cantato, un po’ troppo insistente nel proporre il caratteristico growl di Aaron Turner). L’ascolto di Groundswells è comunque consigliatissimo per chiunque sia alla ricerca di musica che faccia vibrare corpo e mente.