Wojtek: il sentiero dell’orso

I Wojtek rappresentano un ottimo esempio di come si possa ancora cercare una propria strada personale pur nell’affollato panorama musicale odierno e di come in fondo basti poco per aggiungere quelle spezie che sappiano dare un sapore particolare e inaspettato alla nostra ricetta preferita. Se si aggiunge un nome in grado di incuriosire e la capacità di curare anche la presentazione (leggasi oggetto fisico) della propria musica, ecco che diventa a dir poco difficile non cercare di rubare il segreto della ricetta o, almeno, capire come si è mossa la batteria tra i fornelli.

Vi seguiamo da quando avete dato il via a questa avventura ma questa è la nostra prima chiacchierata, per cui direi di cominciare dalle presentazioni. Come si sono incontrati e da dove vengono i membri dei Wojtek?

Morgan (chitarre): i Wojtek nascono dalle ceneri di un gruppo in cui suonavamo io, Mattia e Babu (Enrico) che si è sciolto perché i vari componenti ormai avevano necessità e visioni sul “fare musica” assieme diverse. Red e Riccardo erano conoscenze di vecchia data per noi, dato che tutti e due sono musicisti più che conosciuti nel panorama underground locale, quindi è stato molto spontaneo e quasi naturale per noi chiedergli di unirsi al progetto.

Riccardo (chitarre): Per quel che mi riguarda, al tempo i Lorø necessitavano di un momento riflessivo e di pausa, son stato molto fortunato e sono molto grato mi abbiano coinvolto in questo delirio.

Il vostro nome prende spunto dalla mascotte della 22a compagnia dell’esercito polacco impegnata in Italia durante la Seconda Guerra mondiale, come è nata l’idea di utilizzare il nome dell’orso per la band?

Morgan: l’idea è nata da Mattia, che era stato da poco ad Edimburgo per lavoro, e aveva notato una targhetta commemorativa per il nostro amato compagno Wojtek.
Mosso da curiosità ha cercato la sua storia, e scoperta la sua partecipazione alla campagna d’Italia e la sua passione per la birra, per noi è stato molto facile prenderne il nome!

Red (basso): La cosa più figa di tutte è che per i polacchi è un nome comune. È come se qui una band di metal estremo si chiamasse Mario. Geniale.

Wojtek è un diminutivo (leggo in rete) del termine polacco che indica “colui che ama la guerra”, un indizio sulla vostra indole battagliera o una semplice coincidenza? Come descrivereste il vostro carattere come band?

Morgan: Direi pura e semplice coincidenza, ma di quelle che cascano a pennello. Se dovessi definire il nostro carattere come band, lo dipingerei molto simile a quello della nostra mascotte, e cioè, ruggiti sopra il palco, birra e sigarette sotto!

Red: Ovviamente non siamo per nulla amanti delle guerre e anzi come persone siamo estremamente amichevoli ed inclusivi. Come band però… sì, siamo estremamente coesi e combattivi. Lo dimostra il modo propositivo con cui abbiamo affrontato le diverse difficoltà (globali e personali) del periodo; non ci siamo mai fermati, siamo sempre costantemente in moto e la mente è sempre al prossimo live, alla prossima canzone, al prossimo step come band e al prossimo obbiettivo da raggiungere.

Babu (batteria): Siamo pacifici e tranquilli e seguiamo l’istinto che ci ha portato a fare la musica che facciamo perché ci va così. Secondo me l’orso è l’animale perfetto per noi.

Nel nuovo disco mi è sembrato di avvertire una maggiore varietà nella vostra scrittura con l’inserimento ancor più marcato di digressioni, siano esse malinconiche melodie o parti sperimentali. In cosa vi sentite diversi rispetto all’esordio, cosa avete raccolto strada facendo?

Morgan: Credo l’esordio sia stato semplicemente impulsivo, infatti, per quanto mi riguarda, esprime brutalmente la voglia di conoscersi come musicisti e la necessità assoluta di portare subìto le canzoni in sede live. Successivamente, com’è naturale, ci siamo conosciuti sempre più profondamente (musicalmente parlando), trovando forse un modo più maturo e meno istintivo di esprimerci.

Riccardo: Mi piace pensare che maturiamo come il vino buono, più tempo passiamo assieme più riusciamo a veicolare la nostra musica in maniera incisiva e pulita, vengono meno le individualità dei singoli a favore di una sberla a 25 dita.

Babu: Rispetto ai primi lavori abbiamo potuto viaggiare insieme grazie ai tour fatti, sarà sicuramente aumentato l’entusiasmo e la voglia di spaccare!

Il nuovo lavoro si intitola Does This Dream Slow Down, Until It Stops?, il precedente Hymn For The Leftovers, a cosa si riferiscono e soprattutto cosa ispira i titoli e i testi che accompagnano la vostra musica?

Mattia (voce): Nella vita di ognuno di noi si arriva sempre a fare i conti, prima o dopo, con il dolore. Questo dolore, nelle sue forme più indelebili (quello legato alla perdita), ci tengo a raccontarlo. Hymn For The Leftovers, a livello di testi, era un disco che ruotava attorno alla perdita improvvisa di una persona cara. Ci tenevo a riuscire a descrivere cosa prova “chi rimane indietro” dopo che qualcuno se ne è andato per sempre. In questo disco, che comunque non è assolutamente un concept, ho affrontato nel pezzo più evocativo, “XX Years”, il momento del trapasso. È proprio da qui che nasce la domanda: “Does This Dream Slow Down, Until It Stops?”. In punto di morte perdiamo coscienza? O sentiamo tutto ciò che succede? Cominciamo a sognare? E per quanto dura questo sogno? Rallenterà forse fino a fermarsi?

Tra l’altro, esce su nastro con un packaging/artwork decisamente particolare e curato. Come mai la scelta di questo formato particolare?

Riccardo: Son sempre stato affascinato dai formati atipici e credo che oggigiorno veicolare il sonoro a qualcosa di unico (a livello tattile o visivo) sia qualcosa di complementare, non opzionale. Dal punto di vista creativo, il DIY dà l’opportunità – a chi sa coglierla – di creare un’estensione della musica sul piano fisico. Non lavorando su grandi tirature puoi far sì che le persone che riescono ad apprezzare la tua musica possano portarsi a casa qualcosa di specifico su cui la band ha ragionato (e bestemmiato) per realizzarlo, su tutta la lunghezza “compositiva”. Detto ciò, jewel box o formato cd, attualmente non li trovo stimolanti, per i vinili ci son vincoli economici e tempi di produzione che poco si piegano alle nostre esigenze in questo momento. La scelta della tape, per quanto non sia una novità nell’underground, ci è sembrata la soluzione ideale, Nico Haram direbbe che dopo un anno come il 2020 è stata la scelta più anal-logica da fare.

Se doveste inserire i Wojtek nel cartellone di un festival perfetto, con chi vorreste condividere il palco, quali le band con cui vi sentite in qualche modo affini o maggiormente legati?

Morgan: Neurosis, Converge, Weedeater.

Riccardo: morirei felice dopo aver aperto un concerto per Neurosis, Yob e High On Fire.

Mattia: Birds In Row, Brutus, LLNN.

Babu: Mi piacerebbe suonare con band famosissime tipo Celeste, Sumac e Meshuggah. Le più potenti che esistono.

Red: Converge, Neurosis, Sumac e Cult Leader— e come bonus aggiungerei anche i Mastodon per farci festa nel dopo show.

Viviamo in uno strano periodo storico tra populismo e pandemia, credete che questo momento si sia in qualche modo riversato nel vostro linguaggio e nei vostri nuovi pezzi?

Red: Onestamente sono sempre stato poco incline a schierarmi e tendo a voler tenere una visione il più possibile indipendente delle cose. Comunque la si voglia vedere, ciò che sta succedendo nel mondo è un fatto e come tale è innegabile che abbia influsso e ripercussioni sul nostro vissuto e ciò ci riconduce al nostro ultimo ep. Sì, per molti versi infatti può essere visto come un concept legato proprio a questo particolare periodo storico e lo si percepisce a partire dall’artwork stesso oltre che a ben più di un riferimento all’interno dei nostri nuovi brani. Credo che il filo conduttore sia la frustrazione, la rabbia, la voglia e la necessità di uscire da una situazione fin troppo pesante con la mente costantemente rivolta a tutto ciò che di caro è stato perso.

Riccardo: Il periodo storico attuale è qualcosa che non si può proprio ignorare, al quale credo bisogna adattarsi, non piegarsi ma reinventarsi. Indubbiamente ci ha condizionato nella stesura delle canzoni, si era soliti usare la musica come valvola di sfogo prima del virus, figurati ora.

In particolare, siamo stati privati della musica dal vivo che, almeno nel nostro ambiente, non rappresenta solo una forma di fruizione “passiva”, ma comporta anche un vero e proprio interscambio tra band e pubblico, un’occasione per incontrarsi e confrontarsi. Avete mai pensato alle conseguenze che tutto ciò potrà portare in termini di cambiamenti comportamentali e di modo di vivere la musica dal vivo? Quali prospettive “vedete” per il prossimo futuro?

Riccardo: Se penso a festival come il Disintegrate Your Ignorance, il Frantic o il Krakatoa, giusto per citarne due/tre di pazzeschi a cui ho partecipato, la nostalgia sale prepotente, l’euforia che ti assale nel rivedere così tanti amici tutti assieme in certe cornici condite di musica pazzesca è qualcosa che da una carica incredibile e mi (ci) manca molto. Detto ciò, la musica, anche ai livelli più alti di diffusione, è sempre stata intesa dalle istituzioni come mero intrattenimento e non come cultura. In tempi di crisi queste persone ne possono fare a meno. Noi no, e non mi riferisco solo ai Wojtek ma in generale a tutte le persone che ruotano in questo ambiente a tutti i livelli. L’unico aspetto positivo (se c’è) di questa situazione è che forse, e dico forse. un po’ alla volta, per i non addetti ai lavori, la musica verrà data meno per scontata che in passato. I concerti torneranno di sicuro e se non tramite canali approvati dal governo, credo manchi davvero poco prima che, con generatore a nafta alla mano, spuntino i primi concerti abusivi in località sperdute, un po’ stile rave anni 2000, con i bigliettini e i numeri di telefono da chiamare per avere la strada per arrivarci. Il mio augurio è che questa situazione terribile dia il via a una rinascita di squat, centri sociali, associazioni di ogni genere, il futuro è di chi se lo sa prendere e ne sa cogliere le occasioni che la realtà ci presenta.

Babu: Sono cresciuto vedendo molte attività inerenti al settore della musica chiudere e ho sempre dato la colpa al fatto di vivere in un paese strettamente industrializzato, che percepisce l’uomo più come una macchina che come un’animale sociale. Maturando sono arrivato alla conclusione che l’intrattenimento si è sviluppato in tantissime forme, tra cui quella digitale e ho compreso che la gente ha semplicemente sviluppato nuovi modi di divertirsi e ciò mi ha dato una visione più positiva della società. Quanto è successo quest’anno mi ha fatto riflettere su come abbiamo accantonato l’arte e dato priorità ai bisogni “primari” come salute e lavoro facendoci capire però. nella loro privazione, quanto siano importanti i rapporti sociali tra famigliari e amici. Il digitale ha avuto una grossa importanza in questo perché ci ha permesso di lavorare e di mantenere le relazioni a distanza di sicurezza da remoto.
Tutto questo però, in qualche modo, mi fa sentire come ancor più di prima intrappolato nel meccanismo economico industriale, sono convinto che la maggior parte delle persone siano però stanche di questa situazione e sentano il bisogno di tornare alla normalità, comprese le attività sociali dal vivo (danza, cinema, teatro e concerti). Spero che questo periodo possa essere servito a comprendere ciò di cui realmente abbiamo bisogno oltre alla sola sopravvivenza, a tagliare ciò che realmente è superfluo, pensare al collettivo piuttosto che all’individuo perché dovrebbe essere comprensibile a tutti come l’effetto a catena che comporta la perdita del lavoro per il singolo sia in realtà devastante per tutti. Da tutto ciò potrebbe nascere un movimento di comunione spinto dal basso che porterebbe sicuramente le persone ad unirsi; e con questo approccio “ottimistico” ci sono tutti i presupposti per il rilancio del mondo dello spettacolo al termine della pandemia per tutti i motivi citati. Ma se così non dovesse essere perché il virus continuerà a mutare e non riuscissimo a trovare un modo efficace di curarci, penso che potrò dire realmente di aver assistito alla trasformazione dell’uomo in macchina.

Nella speranza che si possa tornare presto a incontrarci sotto un palco, vi ringrazio e vi lascio spazio per lasciarci i vostri contatti e i saluti finali

Babu: Non vedo l’ora di tornare a viaggiare in furgone, braccio fuori e criniera al vento.

Riccardo: Grazie infinite Michele e The New Noise per lo spazio concesso, speriamo di rivederci presto. Per chi fosse interessato, i Wojtek sono su tutte le piattaforme di streaming più comuni, da Bandcamp a Spofity, da Apple Music a YouTube. 

Mattia: Grazie The New Noise per lo spazio, io ci tengo a salutare stocazzo. Ci si vede (spero presto) su e giù dai palchi, ma soprattutto al bancone del bar. Tenete i cavalli al caldo in maneggio.

Red: Grazie a voi ragazzi per averci ospitato, speriamo di vederci presto on the road, nell’attesa mi raccomando, cavai mai imbalsamai.