VOMIT8, Vi Odio Tutti

Vomit8

Trovo sempre più interessante parlare della scena veneta hardcore punk. È una bolla all’interno della quale è facile distinguere le varie influenze autodeterminate dalle band, che negli ultimi tempi hanno proliferato e stanno dando alla luce molte piccole gemme nere, testimonianza di un percorso – magari involontariamente – collettivo. Un imbuto di sonorità sono i Vomit8, nati da poco ma composti da gente di gruppi che hanno lasciato i solchi su tutti i palchi del nord-est, e non solo: CEDV, Capros Morto, Etrom, I.Got.I, una macedonia rigurgitata in questo Vi Odio Tutti (Mal De Testa Records), primo loro album e chiaro manifesto – fin dal titolo – dei loro sentimenti. Anche se sempre con una non troppo celata ironia (l’intro è affidato ai Monty Python…) la valanga di offese che l’ascoltare si prende da questo disco è colossale, proprio per esaltare quanto sia difficoltoso esprimere un concetto, per quanto semplice, al giorno d’oggi. La musica riflette l’eterogeneità di chi l’ha composta: la title-track, ad esempio, si raccorda allo stoner rock e al garage più festoso alla Zeke, e il ritornello è scandito per far arrivare bene il messaggio a chiunque, anche perché la voce è talmente stridula e perversa da infastidire. Non si rinuncia a nulla, insomma: “Eutanasia” si dedica al growl e a toni più crust, con chitarroni potenti che spingono i motori al massimo (in questo caso si può captare qualcosa dei vicini di casa Kompost, penso alla loro “Al Patibolo”). Le influenze, come dovrebbe esser chiaro ormai, non finiscono qui: “Complotto” ha una parte di chitarra che cita Mustaine in modo clamoroso, mentre “Dead World” sprigiona una seconda voce (in growl) che strizza l’occhio ai gruppi grind-punk degli Ottanta. Un odio complessivo, totale, sporco e schifoso impregna tutte le tracce dell’album, inni alla fine della razza umana, alla morte – identificata come portabandiera dei Vomit8 – e al disagio più sfrenato. Quest’ultimo è enfatizzato molto nel pezzo “Libero A Metà”, una cavalcata alla Motörhead con cori incisivi che permettono dei sing-along diretti che “fidelizzano” il pubblico senza essere ruffiani, ed è qui che sta il punto, la canzone termina con degli aspri gorgoglii di catarro e saliva: un anti-movimento dello splendore novecentesco, insomma marcire, non marciare.